Nel dramma di Rachele Zaza Padula la tensione si impenna e spande in tre scansioni. La prima vede Francesco nella forzata abiezione delle carceri perugine, raggiunto la notte dalla Parola, che lo lascia stupito e incredulo, ma agisce in lui e lo dispone al cambiamento. La seconda declina i tempi d’una sua oscura malattia. La terza lo coglie gagliardo in partenza per una spedizione militare nelle Puglie. Si avvia, ma, durante una notte di sosta a Spoleto, rinuncia. Vive poi – ed è la terza lunga scansione – il quaesivi et non inveni, drammatica vigilia della piena grazia. L’autrice non cerca la benevolenza dei destinatari del suo lavoro, che non è mai seduttivo, ma dispiega invece in esso una lingua alta, sebbene talvolta fiorita di modi espressivi datati all’oggi: una lingua che blocca il protagonista, i comprimari e ogni voce nei limiti del ruolo che sono loro assegnati: rigorosamente e senza scampo.