L’interpretazione della Reggenza di D’Annunzio a Fiume è stata fino ad ora politica, solo volgarmente politica. Giovanni Luigi Manco, in quest’opera che non esito a definire una delle migliori e più complete fino ad oggi scritte sulla storia dell’impresa di Fiume e della Reggenza del Carnaro, ci offre una interpretazione marcatamente rivoluzionaria e innovativa di una vicenda storica scomoda e da molti oggi dimenticata; un’esperienza storica che ha invece segnato in maniera indelebile le successive vicende del ‘900 fino ai giorni nostri, assurgendo ad una sorta di cartina tornasole attraverso la quale possiamo comprendere l’origine e l’essenza del Fascismo, ma anche della guerra civile e della cosiddetta “resistenza”. L’autore, attraverso una minuziosa analisi dei fatti, che dal quadro prettamente storico spazia anche su quello sociologico e filosofico, ci offre una visione del tutto inedita della figura di Gabriele D’Annunzio, un autentico rivoluzionario fuori dagli schemi, un uomo che, per sua stessa ammissione, non è mai stato “di destra” nel senso che diamo oggi a questa mera etichetta politica. Portato nel 1897 a Montecitorio dai liberali, il Vate così scrive a un amico: “ho visto che qualche giornale mi presenta come candidato ministeriale di destra ma sai bene, meglio di un altro, che sarà stupenda la singolarità delle mie attitudini sui banchi di Montecitorio, io farò parte di me stesso”. Infatti, appena due anni dopo, in pieno dissenso con la politica governativa di Pelloux, D’Annunzio abbandona i banchi del partito liberale per portarsi su quelli dell’estrema sinistra, affermando: “Scelgo la vita. Vado incontro alla vita!”. L’espressione esprime tutta la sua ripulsa per il vecchio mondo, tutta la sua tensione per un vivere radicalmente nuovo.