Se guardo alla distanza di quattrocento anni quel secolo gaio, brillante, magnifico, che fu il Cinquecento, vedo venirmi incontro, con incesso di dèe, tutto quello stuolo femminile, che irradiò la propria grazia, la bellezza e l’ingegno su quel quadro sontuoso, e oggi ancora ne forma la principale attrattiva. Mai la donna ci appare più affascinante e più adorata; mai tenne con maggior grazia e facilità lo scettro dei cuori! Come fu diversa dalla mistica angiolella dantesca e dalla sensuale Fiammetta! e come sarà diversa da lei l’agghindata dama del Seicento, spagnolescamente bacchettona e corrotta, e l’incipriata pastorella arcadica, col suo seguito di belanti Tirsi e Alfesibei!
Certo nel Cinquecento la donna è ben lontana da quell’ideale di femminilità cosciente e libera, che noi nel ventesimo secolo sognamo; pure vi è in essa una forza, una capacità così schietta e sana, una esuberanza di vita e un ardore di godimento e di dominio, che ci riempiono di ammirazione e di stupore.
Certo nel Cinquecento la donna è ben lontana da quell’ideale di femminilità cosciente e libera, che noi nel ventesimo secolo sognamo; pure vi è in essa una forza, una capacità così schietta e sana, una esuberanza di vita e un ardore di godimento e di dominio, che ci riempiono di ammirazione e di stupore.