Letteratura - romanzo (179 pagine) - Una giovane donna decide di non sposare l’uomo che ama e dal quale è riamata, ma di “tenerselo” come amante, maritandosi con un individuo d’insulsa ridicolaggine e andando incontro a un mare di guai: ecco l’eroina di un romanzo mordace e spietato, scritto da un Capuana più anticonformista e sfrontato che mai.
Donne fedifraghe, nevrotiche e irrisolte si aggirano in un romanzo capace di scioccarci a distanza di oltre 140 anni per la sua cruda verità. E se l’universo muliebre risulta imperfetto, ma decisamente carismatico, gli uomini, al contrario, fanno davvero una brutta figura sgretolando pagina dopo pagina lo stereotipo del virile e dominante maschio siculo, fino a ridursi a silhouette meschine, polverose e ingobbite. Capuana, dopo aver caricato di naturalismo zoliano il suo fucile letterario, spara in faccia ai benpensanti tutte le ossa degli scheletri rimasti troppo tempo chiusi a doppia mandata nell’armadio dell’ipocrisia. L’introspezione psicologica raggiunge vette quasi sublimi in alcuni passaggi cruciali del testo, nei quali il lettore avverte l’inquietante e al contempo conturbante sensazione che l’autore stia scandagliando anche la sua anima e non solo quella dei personaggi di carta. Non è un romanzo giallo, ma una volta terminato si ha come la sensazione di aver scoperto l’assassino, uno spietato serial killer che potrebbe farla franca perché le sue vittime, apparentemente, respirano ancora…
Luigi Capuana (Mineo, 1839 – Catania, 1915), nato in una famiglia di possidenti terrieri d’antica tradizione, affiancò alla professione di docente (prima presso il Magistero di Roma e poi presso l’Università di Catania) l’attività di saggista (a Milano fu critico letterario e drammatico del “Corriere della Sera”, scrivendo articoli su Balzac, Zola, de Goncourt, Verga, diventando così il primo patrocinatore italiano del romanzo naturalista), poeta e, soprattutto, narratore, pubblicando fiabe, racconti ( Le paesane, 1894; Nuove paesane, 1898) e interessanti romanzi ( Giacinta, 1879; Profumo, 1890; Il Marchese di Roccaverdina, 1902). Insieme a Verga e De Roberto forma una sorta di triade verista siciliana all’interno della quale riveste un ruolo non solo di autore, ma anche di critico e, perché no, di divulgatore. Con l’amico Verga condivise la passione per la fotografia. Rivestì diverse cariche istituzionali, tra le quali quella di sindaco del suo paese natale.
Donne fedifraghe, nevrotiche e irrisolte si aggirano in un romanzo capace di scioccarci a distanza di oltre 140 anni per la sua cruda verità. E se l’universo muliebre risulta imperfetto, ma decisamente carismatico, gli uomini, al contrario, fanno davvero una brutta figura sgretolando pagina dopo pagina lo stereotipo del virile e dominante maschio siculo, fino a ridursi a silhouette meschine, polverose e ingobbite. Capuana, dopo aver caricato di naturalismo zoliano il suo fucile letterario, spara in faccia ai benpensanti tutte le ossa degli scheletri rimasti troppo tempo chiusi a doppia mandata nell’armadio dell’ipocrisia. L’introspezione psicologica raggiunge vette quasi sublimi in alcuni passaggi cruciali del testo, nei quali il lettore avverte l’inquietante e al contempo conturbante sensazione che l’autore stia scandagliando anche la sua anima e non solo quella dei personaggi di carta. Non è un romanzo giallo, ma una volta terminato si ha come la sensazione di aver scoperto l’assassino, uno spietato serial killer che potrebbe farla franca perché le sue vittime, apparentemente, respirano ancora…
Luigi Capuana (Mineo, 1839 – Catania, 1915), nato in una famiglia di possidenti terrieri d’antica tradizione, affiancò alla professione di docente (prima presso il Magistero di Roma e poi presso l’Università di Catania) l’attività di saggista (a Milano fu critico letterario e drammatico del “Corriere della Sera”, scrivendo articoli su Balzac, Zola, de Goncourt, Verga, diventando così il primo patrocinatore italiano del romanzo naturalista), poeta e, soprattutto, narratore, pubblicando fiabe, racconti ( Le paesane, 1894; Nuove paesane, 1898) e interessanti romanzi ( Giacinta, 1879; Profumo, 1890; Il Marchese di Roccaverdina, 1902). Insieme a Verga e De Roberto forma una sorta di triade verista siciliana all’interno della quale riveste un ruolo non solo di autore, ma anche di critico e, perché no, di divulgatore. Con l’amico Verga condivise la passione per la fotografia. Rivestì diverse cariche istituzionali, tra le quali quella di sindaco del suo paese natale.