La notte del 13 novembre 1514, nel mezzo di una piena del Tevere eccezionalmente potente, il ponte medievale di Orte crollò dopo quasi quattro secoli di servizio alle comunicazioni nel cuore dell'Italia. Il crollo del ponte apriva una ferita profonda nel tessuto sociale e identitario della città: Orte, infatti, non solo perdeva il suo simbolo (che ancora oggi appare nello stemma comunale), ma con esso anche la sua importanza strategica, poiché i viaggiatori e i passanti erano ormai obbligati a transitare altrove. Davanti a questo declino gli intellettuali ortani non vollero restare con le mani in mano. Quando, settant'anni dopo, trapelò la notizia che papa Sisto V intendeva ricostruire un ponte sul Tevere, il poeta Giulio Rossi, detto Roscio, scrisse personalmente al pontefice un opuscolo intitolato La restaurazione del ponte di Orte, perorando la causa della sua terra patria. In questo volume si offre il testo latino, curato in base all'unico esemplare manoscritto noto, e la prima traduzione moderna dell'opera. Il testo è corredato da un'ampia introduzione storica.
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