I sonetti satirici li ho scritti all’età di 17 anni. Un libretto di Trilussa mi affascinò moltissimo e mi spinse a comporre dei versi, considerando che in quell’epoca aleggiava magicamente nel mondo studentesco un grande desiderio di impegno sociale e politico. È certamente un’età in cui i sogni, gli ideali, gli slanci sono elementi caratterizzanti ed entusiasmanti. Da Trilussa imparai a tradurre in versi la voglia di satireggiare sulla politica, sui costumi della società, sulla mentalità spesso intrisa di pregiudizi e di ipocrisie. Insomma, la poesia diventò satira per esprimere il desiderio di purezza, di idealità, di slancio generoso verso l’impegno sociale e civile e per smascherare le falsità e i formalismi. Ovviamente molte cose che ho scritto allora le condivido, altre non più. Ma io credo che della storia di ognuno di noi si debba accogliere tutto. Accolgo nella mia vita le poche cose positive realizzate e i tantissimi errori. D’altra parte il nostro conto con il Signore è sempre a debito. Con grande discrezione non ci chiede mai di ripianarlo e più facilmente, con grande generosità, ce lo azzera.