Uno dei temi più dibattuti dalla critica letteraria è senz'altro la similitudine tra la vita vera e le vicende di cui uno scrittore narra. È più corretto nei confronti del lettore che scriva solo ciò di cui sa? Oppure è preferibile che si affidi all'immaginazione e alla fantasia? Kazuo Ishiguro, premio Nobel per la letteratura 2017, in una intervista a Shortlist sostenne che scrivere solo di ciò che si sa "è il contrario dell'accendere l'immaginazione e il potenziale degli scrittori". Forse, come sempre, l'equilibrio sta nel giusto dosaggio di creatività e osservazione del mondo che ci circonda. È difficile pensare che si possa scrivere una storia credibile, sia sul piano degli avvenimenti che della psicologia dei personaggi, senza attingere al proprio bagaglio di esperienze e di sensazioni. La narrazione di Carlo Picchiotti si contamina, in modo intrigante, di elementi che afferiscono dal corredo multicolore di una vita condotta intensamente a studiare i comportamenti e i piccoli gesti degli altri. Tale che il confine tra ciò di cui sa e ciò di cui scrive si sfuma con eleganza. La silloge si compone di dodici racconti, eterogenei per tematica e stile, una sorta di piccole gocce, pungenti e intense come lo sono le emozioni improvvise. In questo senso ogni goccia è nutrimento necessario per gli occhi dell'anima, che ritrovano così la lucentezza del proprio essere e l'entusiasmo del vivere nuove realtà.
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