Prevista dall’8 febbraio 1929 nel piano di lavoro dei Quaderni del carcere, la «nota dantesca» sul Canto degli eretici è una chiave di accesso preziosa alla vicenda umana, intellettuale e politica di Antonio Gramsci. Caso unico attestato durante la detenzione, grazie alla complicata rete epistolare che attraverso Tatiana Schucht e Piero Sraffa arriva fino a Mosca, la lunga stesura è attentamente seguita e personalmente commentata da Togliatti.Promettente filologo ai tempi dell’università, Gramsci mette in discussione, fino a capovolgerla, l’estetizzante interpretazione di Benedetto Croce, il «papa laico» che, scindendo struttura e poesia, attività intellettuale e vita, sempre più si rivela un «leader del revisionismo». La nota è un modello nuovo di critica letteraria: affetti privati, passione politica, ricerca teorica e lotta culturale sono fusi nella scrittura in una straordinaria praxis che, mentre la solitudine carceraria si accentua,si fa sempre più universale.Se è vero, come Bobbio scrive, che «non vi può essere ortodossia che all’inizio non sia essa stessa critica» e che «l’ortodossia marxista è per ciò stesso, come tutte le ortodossie, una eresia», rileggere Gramsci, l’autore italiano più tradotto nel mondo insieme a Machiavelli, si rivela un fecondo esercizio di laicità. Nella grave crisi della sinistra, è necessario ripartire da qui per trovare la strada di un nuovo umanesimo.