A metà strada tra le memorie personali e le vicende che hanno drammaticamente segnato un’epoca, Marino Fardelli ripercorre la vita dello zio di cui porta il nome, giovane Carabiniere, vittima innocente della prima strage di mafia avvenuta il 30 giugno 1963 nella contrada Ciaculli del Comune di Palermo.
«Quando ho scritto questo libro mi sono posto molte volte il problema se la sua stesura rispondesse a un’esigenza ipocrita: quella di “usare” la tragedia di quel Marino Fardelli per far risaltare la “verve di calamo” o il percorso di vita molto meno “alto” di questo Marino Fardelli. E a quella domanda, che cento volte mi sono posto, ho trovato cento volte la stessa risposta, netta e nitida come il giudizio di un bambino su un dolce: è stato giusto farlo per mettere in guardia gli altri, non conveniente per mettere in luce me».
«Quando ho scritto questo libro mi sono posto molte volte il problema se la sua stesura rispondesse a un’esigenza ipocrita: quella di “usare” la tragedia di quel Marino Fardelli per far risaltare la “verve di calamo” o il percorso di vita molto meno “alto” di questo Marino Fardelli. E a quella domanda, che cento volte mi sono posto, ho trovato cento volte la stessa risposta, netta e nitida come il giudizio di un bambino su un dolce: è stato giusto farlo per mettere in guardia gli altri, non conveniente per mettere in luce me».