"Caro padre, Tanti secoli ci separano, eppure mi sembra appropriato rivolgermi a te con una lettera, per poter dirci delle cose che a me sembrano rilevanti, su qualcosa che io e te abbiamo in comune: la Cina. Quando si parla di Cina, il tuo nome viene sempre fuori, specialmente in relazione con l' evangelizzazione di questo grande paese. Io, che osservo il modo in cui il tuo nome viene usato, a volte mi sento un pochino a disagio. A disagio, perché penso che a volte il tuo nome venga strumentalizzato per farti sembrare quello che forse non sei stato veramente. Certamente tu sei stato un grande amante del popolo cinese, ne hai apprezzato la cultura, la grande storia, il grande potenziale. La tua missione, in tempi in cui essere missionari era veramente molto complicato, non fosse per i viaggi che non erano quelli di oggi, è stata certamente importante, anzi posso dire fondamentale. Ma non vorrei dimenticare, che la tua missione era quella di uno che andava in Cina non per fare amicizia con il popolo cinese ma per convertirli al Vangelo, per farli entrare nella Chiesa cattolica per la loro salvezza. Quindi, tutti coloro che parlano di te come se fossi soltanto interessato a fare amicizia con i cinesi per l’amicizia in se stessa, a mio avviso profondamente tradiscono quello che era il tuo vero scopo...". Così comincia questo pamphlet, una lettera immaginaria che l'autore indirizza al grande missionario gesuita per parlare di molte cose, di cosa è la missione, di cultura cinese, delle differenze fra noi e loro il cui riconoscimento solo permette di costruire un vero rapporto, di amicizia, di Cicerone e di grattacieli...