Questo libro tratta del capitale inteso come fattore di produzione ed è considerato uno dei primi grandi lavori di Umberto Ricci.
L'opera è prettamente incentrata sull’analisi dei concetti di produzione e di consumo, all'interno dei quali lo stesso autore inserisce il ruolo dell'astinenza e del risparmio.
Dall’incipit del libro:
Definire il capitale, enumerare i complessi di beni che la definizione abbraccia e quelli che essa respinge, spiegare il perchè delle inclusioni e delle esclusioni significa fare una corsa attraverso l’intero campo dell’economia teoretica.
Riepilogare, sia pure per somme linee, le controversie dottrinali a cui il concetto di capitale diede origine, o in cui trovasi immischiato, significa ripetere per intero o quasi la storia dogmatica dell’economia politica.
Il compito che ci siamo assegnato non giunge a tanto. Noi solo ci proponiamo di far chiaramente capire qual sia, fra i molti concetti del capitale, quello che reputiamo più conveniente alle esigenze logiche dell’economia politica, e indicare i motivi della nostra preferenza. Il che ci porterà alla revisione di alcune dottrine: non riesporremo tutte le dottrine che di volta in volta furono enunciate e acquistarono maggior rinomanza, ma solo quelle che sono più strettamente necessarie per l’intelligenza del concetto di capitale da noi prescelto. E diremo poi di quali gruppi di beni il capitale partitamente si componga, poichè – sebbene il Marshall accenni a un accordo sostanziale e fondamentale, che regnerebbe fra gli scrittori al disotto delle superficiali e accidentali divergenze – è pure innegabile il fatto che il nome di capitale sta a rivestire le più disparate liste di beni, e il lettore deve sapere quali cose concrete si celino sotto le definizioni e dietro le dissertazioni.
L'opera è prettamente incentrata sull’analisi dei concetti di produzione e di consumo, all'interno dei quali lo stesso autore inserisce il ruolo dell'astinenza e del risparmio.
Dall’incipit del libro:
Definire il capitale, enumerare i complessi di beni che la definizione abbraccia e quelli che essa respinge, spiegare il perchè delle inclusioni e delle esclusioni significa fare una corsa attraverso l’intero campo dell’economia teoretica.
Riepilogare, sia pure per somme linee, le controversie dottrinali a cui il concetto di capitale diede origine, o in cui trovasi immischiato, significa ripetere per intero o quasi la storia dogmatica dell’economia politica.
Il compito che ci siamo assegnato non giunge a tanto. Noi solo ci proponiamo di far chiaramente capire qual sia, fra i molti concetti del capitale, quello che reputiamo più conveniente alle esigenze logiche dell’economia politica, e indicare i motivi della nostra preferenza. Il che ci porterà alla revisione di alcune dottrine: non riesporremo tutte le dottrine che di volta in volta furono enunciate e acquistarono maggior rinomanza, ma solo quelle che sono più strettamente necessarie per l’intelligenza del concetto di capitale da noi prescelto. E diremo poi di quali gruppi di beni il capitale partitamente si componga, poichè – sebbene il Marshall accenni a un accordo sostanziale e fondamentale, che regnerebbe fra gli scrittori al disotto delle superficiali e accidentali divergenze – è pure innegabile il fatto che il nome di capitale sta a rivestire le più disparate liste di beni, e il lettore deve sapere quali cose concrete si celino sotto le definizioni e dietro le dissertazioni.