«Mi ci sono voluti trent’anni per vivere senza paure e a volte penso che a trentasette anni continuo a vivere nell’eco del loro allontanarsi».
Un libro di rara potenza, una confessione onesta fino a farsi spietata, mai scabrosa; quasi un manuale di analisi psicanalitica dei sopravvissuti alla disgregazione della ex Jugoslavia. Come se tutti i nodi tornassero al pettine: tematiche, amori e tremori, sevdalinke e Bjelo Dugme, basket, calcio e politica, dolorosa non appartenenza e la fine di un grande Stato.
L’autore di questa raccolta di riflessioni torna all’infanzia, alla lingua di allora che non ha un nome, di cui è l’unico parlante e nella quale si identifica, come si identifica in una terra anch’essa senza nome.
La scrittura di Vojnović è matura, limata ogni asperità, eliminati gli inserti dalla lingua parlata, le colorate invettive, gli improperi fantasiosi; la pagina è colma di emotività controllata, un pathos sotterraneo che afferra chi legge e intanto lo guida alla comprensione di quel tormentato periodo storico.
Un libro di rara potenza, una confessione onesta fino a farsi spietata, mai scabrosa; quasi un manuale di analisi psicanalitica dei sopravvissuti alla disgregazione della ex Jugoslavia. Come se tutti i nodi tornassero al pettine: tematiche, amori e tremori, sevdalinke e Bjelo Dugme, basket, calcio e politica, dolorosa non appartenenza e la fine di un grande Stato.
L’autore di questa raccolta di riflessioni torna all’infanzia, alla lingua di allora che non ha un nome, di cui è l’unico parlante e nella quale si identifica, come si identifica in una terra anch’essa senza nome.
La scrittura di Vojnović è matura, limata ogni asperità, eliminati gli inserti dalla lingua parlata, le colorate invettive, gli improperi fantasiosi; la pagina è colma di emotività controllata, un pathos sotterraneo che afferra chi legge e intanto lo guida alla comprensione di quel tormentato periodo storico.