Il corpo è condizione fondante l’identità e l’essere al mondo di ognuno, il luogo in cui s’innestano e si esprimono emozioni, desideri, affetti, conoscenze e relazioni. Ognuno di noi sa di essere un corpo e di avere un corpo: siamo in grado di percepirlo, è una realtà che ci definisce e ci rivela, ci rappresenta nelle varie forme espressive, ci permette di comunicare con gli altri, di agire operativamente, di modificare la realtà, persino di andare “oltre” la stessa e di pensare a quanto tangibile e corporeo non è. Appare però difficile comprendere il corpo, perché nascere, crescere, invecchiare, morire sono fortemente legati all’esperienza di ciascuno, all’unicità e all’irripetibilità di ogni essere umano. In questa diversità, c’è chi lo ama e chi lo odia, chi lo esalta e chi lo punisce, chi addirittura non lo avverte, chi ne prende atto solo nel momento della malattia e della sofferenza. La vita stessa è un cammino alla ricerca del proprio essere, quindi del proprio corpo, forse dell’anima del corpo. Un cammino e un camminare che, intrecciando fisico e spirituale, visibile ed invisibile, incontri della vita e luoghi dell’interiorità, accompagnano le domande che fin dalle origini si è posta l’umanità. Ancora più difficile è parlare del corpo, perché ciò rischia di negare la sua natura soggettiva, mutevole, inafferrabile, inaccessibile, oltre che condizionata dalle istanze culturali, sociali, economiche, religiose. Per molto tempo la storia della pedagogia occidentale ha oscurato e posto sotto silenzio la dimensione corporea che solo recentemente incomincia ad essere riscoperta, riconosciuta nell’alto valore formativo della sua globalità, considerata “una realtà intimamente connessa con la dimensione spirituale dell’uomo”. Nonostante dal punto di vista teorico la connessione tra corpo e mente, pensiero ed emozioni, esperienza biologica e culturale, sia ormai ampiamente affermata, la sua declinazione nella pratica quotidiana, soprattutto in quella educativa, appare ancora faticosa, schiacciata dalle contraddizioni derivanti da una simbolicità del corpo per alcuni versi ancora repressiva, per altri protesa in forme di edonismo e consumismo, oppure lanciata verso il desiderio di superare i suoi stessi confini, infine, e soprattutto, lontana da aspetti come il dolore, la sofferenza, la morte. Le scienze affermano che l’intelligenza non ha sede solo nella testa, ma anche nei sensi, nelle mani, e che, in quanto “intelligenze”, anche la corporeità, l’emozionalità producono conoscenza; tuttavia luoghi “sacri” della scuola e delle università restano ancora le aule, e si continuano a considerare con sospetto quelli “secondari” del laboratorio, del bosco, della palestra, della piazza. Riconosciamo oggi il superamento del concetto meramente intellettuale dell’intelligenza e apprezziamo la prospettiva della pluralità della stessa anche nei suoi risvolti in campo educativo, tuttavia le differenze e le diversità sembrano lontane dall’essere comprese e valorizzate. Ascoltare il corpo, recuperare il suo valore come sede delle diverse intelligenze, come soggetto in relazione con i diversi ambienti, da quello materno, a quello familiare e scolastico, a quello più allargato socio-culturale, allo stesso ambiente naturale, appare una priorità per i luoghi della formazione e della cura. (dall'Introduzione dell'Autrice)