Postfazione di Paola Pompei
Una sera di neve leggera Francesco si imbatte nel manifesto mortuario di un uomo che pensava di aver dimenticato. E lui, che come ghostwriter ha scritto le storie di altri, che ha prestato la propria penna e il talento per dare colori nuovi alle vicende personali di tanti – dagli invalidi ai partigiani e martiri fino a star dello spettacolo – capisce che è arrivato il momento di raccontare anche la propria storia, quella più dolorosa, quella della violenza che lui e il fratellino hanno subito da bambini per mano dello zio amato.
Si riapre così una ferita profonda che pensava rimarginata e dimenticata. Ed invece un dolore sordo e latente si riveste di nuove spine, e Francesco attingerà dalla scrittura l’energia positiva per affrontarla. Un po’ come gettare sale su una ferita aperta e solo poi cauterizzarla. Shock e sollievo che si alternano tra le righe in un procedimento circolare.
Si rivede sul balcone la sera che suo padre ha scacciato lo zio da quella casa “disonorandolo” con le male parole. Lo rivede le ore prima lavorare la terra del loro orto ignaro della rabbia dei suoi genitori, con quelle spalle ossute muoversi come tronconi di ali spezzate da angelo del male.
Ripercorrere i ricordi ha il senso di inondarli di luce, svelarli al mondo distruggendone il potere annichilente come il sole uccide un vampiro. Allora, meticolosamente, li riesuma lasciandoli scorrere come veleno antico e inefficace nelle vene perché siano anche antidoto al male di vivere con un tale peso. Così quello zio torvo che ha deviato l’innocenza dei due nipoti giovanissimi con una violenza sessuale non sarà più un trauma antico.
Una scrittura calibrata sulla ricerca del rispetto delle diverse sensibilità perché nella lettura nessuno inorridisca, ma quanto possibile lirica e alla ricerca di immagini e di idee propositive.
Il messaggio è che per la soluzione dei traumi della vita bisogna confidare nel proprio talento alimentandolo ed esercitandolo perché esso è luce. E la luce, anche la più fievole, sconfigge il buio. Sempre.
Una sera di neve leggera Francesco si imbatte nel manifesto mortuario di un uomo che pensava di aver dimenticato. E lui, che come ghostwriter ha scritto le storie di altri, che ha prestato la propria penna e il talento per dare colori nuovi alle vicende personali di tanti – dagli invalidi ai partigiani e martiri fino a star dello spettacolo – capisce che è arrivato il momento di raccontare anche la propria storia, quella più dolorosa, quella della violenza che lui e il fratellino hanno subito da bambini per mano dello zio amato.
Si riapre così una ferita profonda che pensava rimarginata e dimenticata. Ed invece un dolore sordo e latente si riveste di nuove spine, e Francesco attingerà dalla scrittura l’energia positiva per affrontarla. Un po’ come gettare sale su una ferita aperta e solo poi cauterizzarla. Shock e sollievo che si alternano tra le righe in un procedimento circolare.
Si rivede sul balcone la sera che suo padre ha scacciato lo zio da quella casa “disonorandolo” con le male parole. Lo rivede le ore prima lavorare la terra del loro orto ignaro della rabbia dei suoi genitori, con quelle spalle ossute muoversi come tronconi di ali spezzate da angelo del male.
Ripercorrere i ricordi ha il senso di inondarli di luce, svelarli al mondo distruggendone il potere annichilente come il sole uccide un vampiro. Allora, meticolosamente, li riesuma lasciandoli scorrere come veleno antico e inefficace nelle vene perché siano anche antidoto al male di vivere con un tale peso. Così quello zio torvo che ha deviato l’innocenza dei due nipoti giovanissimi con una violenza sessuale non sarà più un trauma antico.
Una scrittura calibrata sulla ricerca del rispetto delle diverse sensibilità perché nella lettura nessuno inorridisca, ma quanto possibile lirica e alla ricerca di immagini e di idee propositive.
Il messaggio è che per la soluzione dei traumi della vita bisogna confidare nel proprio talento alimentandolo ed esercitandolo perché esso è luce. E la luce, anche la più fievole, sconfigge il buio. Sempre.