Francesco Domenico Guerrazzi (Livorno, 12 agosto 1804 – Cecina, 23 settembre 1873) è stato un politico e scrittore italiano. Fu un intellettuale organico della media borghesia produttiva e democratica del primo Ottocento di cui, muovendo dal particolare angolo visuale dell’ambiente livornese, interpretò le esigenze e le aspirazioni nel campo politico–economico come in quello culturale. Svolse l’attività di politico e scrittore nel movimento risorgimentale. Solitamente i manuali di storia letteraria dedicano soltanto poche righe a Francesco Domenico Guerrazzi e riprendono solo i giudizi negativi, soprattutto sul suo atteggiamento umano. Considerando il periodo storico in cui egli si trovò a scrivere, e al pubblico a cui intendeva rivolgersi coi suoi romanzi, il Guerrazzi è invece una figura per molti versi esemplare per individuare gli umori e le ansie della classe sociale di quell’epoca storica. Nel corso dell’Ottocento i romanzi guerrazziani infatti godettero di un vasto e non interrotto successo di pubblico che fece di lui uno degli scrittori più letti del periodo. Lo testimoniano chiaramente le numerose ristampe che furono fatte dei suoi due più famosi romanzi, La battaglia di Benevento e L’assedio di Firenze: del primo furono preparate, dal 1827, data della sua pubblicazione, fino al 1920 ben 58 edizioni, con una media di più di una ogni due anni; del secondo una cinquantina di edizioni fra il 1836 e il 1916. Il successo clamoroso che fu travolgente nella prima metà del secolo quando i romanzi guerrazziani, e soprattutto L’assedio di Firenze, attraversarono tutta la penisola, letti da chi condivideva le ansie patriottiche dell’autore: i suoi libri venivano comprati anche ad altissimo prezzo e passati di mano in mano, data la difficoltà di riuscire a trovare qualche copia in circolazione che fosse sfuggita al controllo della polizia (bastava infatti essere scoperti con un libro del Guerrazzi in casa per essere arrestati e condannati al carcere). Il De Sanctis scrisse che a Napoli «L’assedio di Firenze si vendeva a peso d’oro e felice chi poteva leggerlo!». Anche i giudizi della critica dell’epoca erano positivi e i suoi romanzi venivano esaltati per la passione negli ideali risorgimentali rappresentata al loro interno. Non mancavano però anche a quel tempo le critiche negative sulla narrativa guerrazziana, come la sua visione sulla società, giudicata troppo pessimistica. Nella seconda metà dell’Ottocento però si attenuò lo straordinario successo di pubblico, in conseguenza del mutamento delle condizioni storico-sociali. Le opere del Guerrazzi persero quindi di interesse nei confronti degli uomini di cultura, anche per colpa dell’affermazione di nuove tendenze letterarie più realistiche e concrete. Infatti ormai si era arrivati nell’età del positivismo, nell’esaltazione della scienza, che ripudiava le astrattezze dell’idealismo del primo Ottocento, e che non poteva certo comprendere lo spirito romantico dello scrittore livornese. Il pubblico però continuava a leggere i romanzi del Guerrazzi, soprattutto le nuove opere che apparivano in quegli anni, quali il Pasquale Paoli del 1860, Il buco nel muro del 1862, L’assedio di Roma del 1863 e il Paolo Pelliccioni del 1864. Queste presentavano tematiche nuove ma fondamentalmente lo stesso spirito pessimistico e polemico verso la società contemporanea, che adesso stava vivendo un nuovo senso di malessere e sfiducia con l’avvento della Sinistra al potere col suo spirito anticlericale contro il Vaticano e le sue costanti ambizioni di dominio. La fortuna guerrazziana continuò quindi per un altro decennio prima di esaurirsi quasi del tutto nei primi anni del nuovo secolo.