Per il contesto in cui si mosse, il destino e l'importanza delle sue scelte, maturate in assoluta autonomia di giudizio e di azione, la figura di Eleonora d'Arborea si tinse subito di tratti leggendari. Nella Sardegna medioevale, si trovò, dopo l'eccidio del fratello Ugo, a ricoprire la carica di Giudice, all'epoca un sovrano, nominato da una sorta di parlamento locale, le Coronas de logu. Era quello un momento particolarmente difficile. La giudicessa infatti ereditava, dal padre e dal fratello, la guerra che da anni i sardi combattevano contro i re aragonesi per salvare la propria indipendenza. Eleonora seppe, finché visse, mantenere tale indipendenza, con le armi e con le trattative, senza piegarsi a ricatti e intimidazioni. Ma fece di più: fu autrice della Carta de Logu, una Costituzione singolarmente illuminata per i tempi, tanto da rimanere in vigore ancora per secoli dopo la sua morte, addirittura anche dopo la fine del Giudicato d'Arborea. A sessant'anni, durante un'epidemia di peste, la giudicessa morì. Nel romanzo, Eleonora rievoca, durante la febbre dell'agonia, la sua lunga vita. Ne rivive le vittorie e le sconfitte, le perdite e le separazioni, gli affetti più cari e i conflitti, le sfide che aveva dovuto affrontare con determinazione e coraggio. E, ricorrente, le ritorna nel sogno, un antico ricordo: il suo falcone prediletto, appartenente a quella particolare specie che la giudicessa protesse in un articolo della Carta de Logu, e che perciò, ancora oggi, viene chiamato in tutte le lingue, Falco di Eleonora.
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