Alla narrativa italiana mancano molto libri come questo. Soprattutto mancano giovani autori disposti a rinunciare all'irresistibile smania di "copiare" i grandi e di produrre pagine che potrebbero essere tranquillamente utilizzate come ultimo inserto del kamasutra, o come didascalie per un film di Tarantino. Sono pochi gli scrittori capaci di andare controcorrente, di dare spazio ai sentimenti, ai problemi, a ciò che è irresistibilmente e infinitamente umano. Luisa Ferretti questo coraggio ce l'ha. La sua Arianna è una creatura delicata, un fiore piccolo e bellissimo, una ragazza condannata a vedere dove gli altri guardano, una poesia. È qui, dove l'adolescenza non è ancora età adulta, dove c'è la donna ma non ancora la femmina, che scoppia il dramma della vita, quello che abbiamo tutti e che tutti scegliamo di vivere a modo nostro. Arianna è un'"Albachiara", anch'essa sola nella propria stanza con "tutto il mondo fuori". Il "filo" della protagonista sta proprio questo suo odio-amore che si protende verso ciò che è esterno, questa incapacità di stare nel mondo ma anche di abbandonarlo. E Luisa Ferretti ci parla ora di anoressia. Ci trascina piano, impercettibilmente, in una dimensione da incubo, in un quartiere malfamato e labirintico dalle mura tappezzate d’angoscia. Ma Arianna è un'anima pura e la prosa della Ferretti è una musica dolce, cristallina. L'analisi della tragedia è fredda, razionale, ma i sentimenti, i buoni sentimenti, non ci abbandonano mai. Geniale, a parere di chi scrive, l'invenzione del "pensiero scemo", chiave di tutto e vero "filo" di Arianna, della storia e di chi, stupito, la legge. a cura di Thomas Pistoia di “Via Oberdan”