La narrazione sociologica è anche mimesis, cioè simulazione di contesti, rappresentazione di contenuti tratti dall’esperienza. Le esperienze degli attori sociali sono osservate e descritte dal sociologo, che ne fa un’esperienza mediata dal racconto dei protagonisti. La percezione della loro realtà è mescolata al racconto corale che affiora dalle profondità dell’organismo sociale. La sociologia, dunque, è un racconto plurale in cui talvolta è difficile distinguere quali contenuti vengono da chi, e come sono stati elaborati. Voci molteplici appartengono agli osservati, ma anche ai fieldworker che lavorano in équipe, e che spesso hanno idee differenti. Voci sovrapposte si contendono lo spazio all’interno della stessa persona: il sociologo cambia prospettiva, o umore, o riferimenti culturali. La ricerca è un divenire in continua trasformazione che tenta di ricondurre a unità una pluralità di discorsi, che si accavallano nel tempo e nello spazio sociali. Narrare relazioni e gestire collegamenti fra culture sono pratiche che identificano la sociologia, ma sulle quali gli studi sono scarsi.Siamo grati alle culture che ci hanno incuriosito, attratto, stimolato. Verso di esse, con la nostra scrittura, costruiamo ponti e legami. La new wave post-moderna ha dato spazio all’aspetto espressivo della sociologia, ha lasciato affiorare un profondo bisogno di riformulare le leggi della comunicazione scientifica, ampliandone i margini sino a includere narrazioni finora considerate troppo personali. Questo passaggio è discutibile, soprattutto nel senso che chiede di essere discusso, acquistando legittimità nella comunità scientifica. L’attenzione che gli dedico è, credo, la giusta presa in carico di un fenomeno collettivo, che osservo da etnografa, prendendo atto di pratiche diffuse.