Un giovane e un vecchio si fondono in un'unica conversazione, l'uno penetra nell'animo dell'altro e viceversa, in una continua e frenetica danza di battute e osservazioni. L'acutezza delle supposizioni giovanili entra a far parte del bagaglio esperienziale dell'uomo maturo, di colui che ha viaggiato per lungo e per largo il mare della poesia ma che poi è sprofondato nella prosa. L'uno è lo specchio dell'altro, è scendere nell'abisso del profondo Io di entrambi, è girovagare tra i meandri dell'irragionevole razionalità e scoprirsi simili, anzi piuttosto uguali, sullo stesso binario, nella stessa direzione. Forse la soluzione sarebbe affidarsi alla poesia, ma la prosa, a volte invadente e inconcludente, prende il sopravvento e disperde tutto il lirismo, forse c'è davvero bisogno d'amore per rinascere… Massimo Passoni, ne Il giovane e il vecchio, tratteggia fedelmente e ottimamente le differenze peculiari dei suoi personaggi, donando loro individualità narrativa avente funzione propria. Nato a Milano nel 1972, Massimo Passoni ha militato per quattro lustri nel classico girone del posto di lavoro fisso, che però non amava, avvalorando la frase di Cesare Pavese: "L'ignorante non si conosce dal lavoro che fa ma da come lo fa." Ha quindi frequentato il "cane nero" di Winston Churchill, che lo ha portato, successivamente, a comprendere la bellezza delle frasi di Giovanni Pascoli - "Non vedrei ora così bello, se già non avessi veduto così nero" - e di Stendhal - "La vocazione significa avere per mestiere la propria passione." Ha cercato con coraggio in sé stesso quale fosse la sua vera passione, quella per la quale valesse la pena vivere. Ha scoperto che era la stessa nata ai tempi del liceo e sepolta sotto strati di convenzioni sociali: la scrittura.
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