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Il pirata, ha scritto Carl Schmitt, è l’autentico figlio del mare. Già aedi e mitografi, d’altra parte, avevano messo in risalto come gli spazi marittimi fossero un ambiente eccentrico e fondamentalmente ostile. Di più, questi spazi generavano una forza pervertitrice tale da plasmare una specifica antropologia: quella piratica. Ecco allora che, assumendo il predone del mare come paradigma, è possibile mettere a fuoco la relazione tra spazio e inimicizia, per poi esaminare le molteplici ricadute sul piano giuridico. Il pirata, in quanto communis hostis omnium, quali rappresentazioni e quali…mehr

Produktbeschreibung
Il pirata, ha scritto Carl Schmitt, è l’autentico figlio del mare. Già aedi e mitografi, d’altra parte, avevano messo in risalto come gli spazi marittimi fossero un ambiente eccentrico e fondamentalmente ostile. Di più, questi spazi generavano una forza pervertitrice tale da plasmare una specifica antropologia: quella piratica.
Ecco allora che, assumendo il predone del mare come paradigma, è possibile mettere a fuoco la relazione tra spazio e inimicizia, per poi esaminare le molteplici ricadute sul piano giuridico. Il pirata, in quanto communis hostis omnium, quali rappresentazioni e quali retoriche ha determinato? Quali curvature ha impresso all’ordinamento? Quali risposte ha sollecitato?
Oggi questi interrogativi risultano sorprendentemente attuali: in uno scenario internazionale caratterizzato da una conflittualità fluida e al tempo stesso pulviscolare, lo strumentario della filosofia del diritto internazionale consente di cogliere la progressiva assimilazione del terrorismo alla pirateria e, al tempo stesso, di evidenziare le forti criticità di questa dinamica.
Riflettere sul pirata, dunque, significa in primo luogo confrontarsi con una possente energia agonale: una tensione ancestrale ancora capace di flettere l’ordinamento internazionale.