Un amico d’infanzia – lo scultore Dan Lucini, che per scrupolo non raro di scapolo maturo si era fatta una missione del suo avvenire di ragazza orfana ed emancipata, quindi doppiamente povera – capitò un pomeriggio d’estate nella sala un po’ buia, ove Domina vendeva ceramiche per conto della «Fornace».
Recava, con la pomposa modestia di un fidanzato timido che porti il tradizionale mazzo di fiori alla fidanzata, la proposta di un «impiego magnifico». Era la decima in un anno.
Già dal primo pianerottolo delle scale Domina aveva distinto il suo fischio dolce e sconclusionato. Era un fischio caratteristico, senza armonia registrabile, così involontario, in lui, che nemmeno nei momenti più gravi o più importanti egli si accorgeva di modularlo. Domina lo paragonava al ronronnare in sordina di un gatto grasso e felice.
Si era appena detta: «Ecco Dan», che la sagoma di lui apparve, stampigliata come in certe decalcomanie sul vetro smerigliato della porta della «Fornace».
— Novità, Dan?
A corto di respiro, Dan non aveva smesso il fischio in tono minore. Ritta, issata anzi, perchè più piccola dello scultore, per scrutarlo bene in volto, con le mani infilate nelle tasche della chiara giacca estiva, la ragazza aspettava che, col respiro, gli tornasse la voce.
— Ebbene?
— Volete andare a Venezia?
Recava, con la pomposa modestia di un fidanzato timido che porti il tradizionale mazzo di fiori alla fidanzata, la proposta di un «impiego magnifico». Era la decima in un anno.
Già dal primo pianerottolo delle scale Domina aveva distinto il suo fischio dolce e sconclusionato. Era un fischio caratteristico, senza armonia registrabile, così involontario, in lui, che nemmeno nei momenti più gravi o più importanti egli si accorgeva di modularlo. Domina lo paragonava al ronronnare in sordina di un gatto grasso e felice.
Si era appena detta: «Ecco Dan», che la sagoma di lui apparve, stampigliata come in certe decalcomanie sul vetro smerigliato della porta della «Fornace».
— Novità, Dan?
A corto di respiro, Dan non aveva smesso il fischio in tono minore. Ritta, issata anzi, perchè più piccola dello scultore, per scrutarlo bene in volto, con le mani infilate nelle tasche della chiara giacca estiva, la ragazza aspettava che, col respiro, gli tornasse la voce.
— Ebbene?
— Volete andare a Venezia?