Quando andò in pensione nei primi anni novanta, Romolo Malatesta lasciò l’incarico di corrispondente del Messaggero, di cui, in verità non era mai stato un prolifico collaboratore, e iniziò a scrivere in proprio. Riordinò mentalmente tutti i suoi ricordi e le sue impressioni della sua infanzia più remota, quella che confinava e si confondeva con i racconti dei vecchi, delle storie dei briganti e di una miseria spaventevole, e scrisse di getto, così come faceva con i suoi quadri, una storia d’amore infelice, ambientata nella Rocca di Fabrica di Roma (ma il nome del paese non viene mai nominato) in quel tempo in cui la Rocca era tutti il paese. “E una realtà romanzata e non varrebbe nemmeno la pena di perderci il tempo… un pensiero una volta espresso è una bugia”.