Con questo saggio l'autore riprende e circolarmente conclude una ricerca storica - iniziata con il suo primo lavoro, Perché le origini dell'Europa non possono dirsi giudaico-cristiane - dalla quale emerge prepotentemente un Occidente protagonista del proprio destino storico e religioso. Ogni debito culturale nei confronti dell'Oriente, ritenuto patria di ogni sapere, secondo l'ormai abusato motto "Ex oriente lux", viene demolito attraverso un'audace denudazione storica che, asportando velo dopo velo, mostra forme mai prima d'ora immaginate. Nel testo la Mesopotamia rimane sì centro di diffusione a vasto raggio di civiltà, ma da essa trasmessa come riverbero di un sapere ancora più antico, proveniente da altre coordinate geografiche. L'influenza mesopotamica sulla Palestina, che inizia con il famoso viaggio di Abramo da Ur, è il risultato di una visione del mondo scaturita da un sapere primordiale dimenticato ed ancora oggetto di ricerca al tempo di Gesù. Questi, interprete e catalizzatore della civiltà e della religiosità primordiale e occidentale, nel saggio giganteggia, ma fuori da ogni canone tradizionale unilateralmente o univocamente inteso.
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