Le forme del pane quotidiano della tradizione folclorica italiana, pur variando nei nomi, avevano poche tipologie ed erano tutte abbastanza uniformi mentre il pane delle panetterie cittadine poteva assumere forme anche molto diverse tra loro. In Sicilia, per esempio, il pane più comune era quello rotondo e pieno, a pagnotta, come per altre regioni italiane, e prendeva “il nome di cuddura se la pasta all’atto della manipolazione era arrotolata a ciambella con i bordi esterni intagliati ... con il coltello. Ciascuna di queste forme tradizionali aveva un peso di circa un chilogrammo.” (Buttitta, Cusumano, 1991: 76.) La ciambella era, comunque, tra i pani quotidiani, senz’altro uno tra i più diffusi in Italia: nella Roma dell’Ottocento, per esempio, tra i numerosissimi rivenditori che affollavano le strade, vi erano coloro che vendevano esclusivamente ciambelle, appunto i ciambellari che, tra l’altro, non avevano una buona fama perché erano ritenuti delle spie. Come ci racconta l’etnografo Zanazzo, essi “andavano attorno con la loro merce infilata in un bastone o in un canestro e gridavano: “di Lucca le ciambelle! El ciambellaro!” (Zanazzo, 1908: 430). La diffusione di questa forma può essere ipotizzata anche da questo detto di Noto, cittadina siciliana, quando, dopo il lavoro dell’impasto del pane, “si rivolta la pasta, con l’augurio che possa aumentare tanto da fare un pane e una ciambella in più: “Crisci, ‘n pani e ‘na cuddura [aumenta un pane e una ciambella].” (Chimirri, 1957: 44). Altro pane piuttosto diffuso nel palermitano o nel trapanese, ma anche in molte altre regioni italiane, era quello detto a ‘torciglione’, cioè il filone di pasta a forma di treccia. Si tenga presente, inoltre, che la tradizione del pane fresco da consumare in giornata è piuttosto recente poiché sino a qualche decennio fa il pane in genere veniva preparato dalle donne di casa in un giorno della settimana o in molti casi anche secondo scadenze piuttosto lontane tra loro.