Se, analizzando la storia, ci si accorgesse che la società statuale, con le sue strutture e sovrastrutture, evolva in modo ciclico e non progressivo, né lineare (seppure con elementi di progressività, che però, esulano dalla logica delle strutture statuali: la conoscenza tecnico-scientifica), allora ci si accorgerebbe che il fondamento delle "utopie" e delle "distopie" sia, in sè, valido, a seconda che si volga lo sguardo in un senso o nell'altro.
Il primo compito che si era assunta la filosofia, per i filosofi presocratici, era sintetizzabile nell'analizzare la condizione degli esseri umani, per poter dare, ad essi, la coscienza di sé stessi. Il secondo compito che si assumeva la filosofia era quello di porre le basi di una società in grado di soddisfare i più autentici e profondi bisogni umani. Ossia, il compito di realizzare una società non più in conflitto permanente con i bisogni dei singoli individui e, dunque, una società in cui sia consentito, agli individui, di essere pienamente felici e di sentirsi auto-realizzati. Con Socrate la filosofia prese, sostanzialmente, coscienza di non essere in grado di realizzare questi suoi compiti, tanto che il pensiero di Socrate è sintetizzabile nella frase: "so di non sapere". La filosofia successiva, da Platone in poi, non fece altro che porre le basi di ideologie, e religioni, che consentissero di accettare come ineluttabile la condizione storica in atto, della specie umana. Ossia, la sussistenza costante della società, definibile, genericamente, come società statuale, che non consente altro che una condizione, predeterminata prima della nascita del singolo individuo, e di cui l'individuo acquisisce, con fatica, una pallida coscienza della società stessa e di sé. Una coscienza, vaga, del proprio ruolo e status sociale, oltreché della natura ed evoluzione in atto della società in cui si trova immerso, suo malgrado. Parlare di fallimento della filosofia è del tutto pleonastico. Tuttavia, la filosofia, come unico mezzo per riflettere sulla condizione umana, sul ruolo della conoscenza e sulla natura della scienza, è l'unico strumento, se fornita del metodo adeguato, per risolvere il cosiddetto "problema sociale". Il cosiddetto "problema sociale" è, sostanzialmente, il problema del conflitto tra l'individuo e la società.
Il cosiddetto "libero arbitrio" è una bufala plurimillenaria, per colpevolizzarci, e continuare ad opprimerci! In realtà esiste il SERVO ARBITRIO, ossia l'assenza, pressoché assoluta, di autentica libertà. Quanto al comportamento è, apparentemente, quanto mai "libero", specie in Italia, dove le leggi sono solo "grida manzoniane", così come i costumi e le consuetudini! Ma questa non è libertà. Semmai è licenza (il contrario della libertà vera)!
La disputa filosofica tra monismo (unicità ed univocità di tutto ciò che esiste: natura e realtà sociale, in un unico "essere") e dualismo (distinzione tra due aspetti della realtà complessiva: natura e "cultura", oppure, tra "bene" e "male") che dura da molti millenni; per la sua stessa perseveranza nel tempo, appare non risolutiva, né illuminante. Infatti, si possono trovare fautori dell'una e dell'altra tesi, all'interno di correnti di pensiero le più disparate, come all'interno della teologia cristiana, dove coesistono sia il dualismo che il monismo. L'evidenza empirica favorisce la teoria dualista, poiché è evidente come la realtà complessiva non possa avere aspetti univoci e riducibili ad un unico principio: ad esempio, la malattia non può essere confusa con lo stato di salute. Tuttavia, tale suddivisione della realtà complessiva in due elementi distinti, e contrapponibili, non implica, immediatamente, la possibilità di riportare ad unità tutta la realtà. Per realizzare questo obiettivo occorre analizzare, efficacemente, le cause e gli elementi costituenti gli aspetti del reale che si oppongono alla razionalità, alla moralità ed alla felicità di tutti gli esseri viventi.
Il primo compito che si era assunta la filosofia, per i filosofi presocratici, era sintetizzabile nell'analizzare la condizione degli esseri umani, per poter dare, ad essi, la coscienza di sé stessi. Il secondo compito che si assumeva la filosofia era quello di porre le basi di una società in grado di soddisfare i più autentici e profondi bisogni umani. Ossia, il compito di realizzare una società non più in conflitto permanente con i bisogni dei singoli individui e, dunque, una società in cui sia consentito, agli individui, di essere pienamente felici e di sentirsi auto-realizzati. Con Socrate la filosofia prese, sostanzialmente, coscienza di non essere in grado di realizzare questi suoi compiti, tanto che il pensiero di Socrate è sintetizzabile nella frase: "so di non sapere". La filosofia successiva, da Platone in poi, non fece altro che porre le basi di ideologie, e religioni, che consentissero di accettare come ineluttabile la condizione storica in atto, della specie umana. Ossia, la sussistenza costante della società, definibile, genericamente, come società statuale, che non consente altro che una condizione, predeterminata prima della nascita del singolo individuo, e di cui l'individuo acquisisce, con fatica, una pallida coscienza della società stessa e di sé. Una coscienza, vaga, del proprio ruolo e status sociale, oltreché della natura ed evoluzione in atto della società in cui si trova immerso, suo malgrado. Parlare di fallimento della filosofia è del tutto pleonastico. Tuttavia, la filosofia, come unico mezzo per riflettere sulla condizione umana, sul ruolo della conoscenza e sulla natura della scienza, è l'unico strumento, se fornita del metodo adeguato, per risolvere il cosiddetto "problema sociale". Il cosiddetto "problema sociale" è, sostanzialmente, il problema del conflitto tra l'individuo e la società.
Il cosiddetto "libero arbitrio" è una bufala plurimillenaria, per colpevolizzarci, e continuare ad opprimerci! In realtà esiste il SERVO ARBITRIO, ossia l'assenza, pressoché assoluta, di autentica libertà. Quanto al comportamento è, apparentemente, quanto mai "libero", specie in Italia, dove le leggi sono solo "grida manzoniane", così come i costumi e le consuetudini! Ma questa non è libertà. Semmai è licenza (il contrario della libertà vera)!
La disputa filosofica tra monismo (unicità ed univocità di tutto ciò che esiste: natura e realtà sociale, in un unico "essere") e dualismo (distinzione tra due aspetti della realtà complessiva: natura e "cultura", oppure, tra "bene" e "male") che dura da molti millenni; per la sua stessa perseveranza nel tempo, appare non risolutiva, né illuminante. Infatti, si possono trovare fautori dell'una e dell'altra tesi, all'interno di correnti di pensiero le più disparate, come all'interno della teologia cristiana, dove coesistono sia il dualismo che il monismo. L'evidenza empirica favorisce la teoria dualista, poiché è evidente come la realtà complessiva non possa avere aspetti univoci e riducibili ad un unico principio: ad esempio, la malattia non può essere confusa con lo stato di salute. Tuttavia, tale suddivisione della realtà complessiva in due elementi distinti, e contrapponibili, non implica, immediatamente, la possibilità di riportare ad unità tutta la realtà. Per realizzare questo obiettivo occorre analizzare, efficacemente, le cause e gli elementi costituenti gli aspetti del reale che si oppongono alla razionalità, alla moralità ed alla felicità di tutti gli esseri viventi.
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