Le ricerche di Antonio Pigliaru (1922-1969) si inseriscono nel dibattito novecentesco sulla pluralità degli ordinamenti giuridici e risentono del confronto con l’attualismo, l’istituzionalismo, la teoria dell’esperienza giuridica e il marxismo.
Dalla sua produzione scientifica, che copre un arco di circa vent’anni, emerge una teoria del diritto caratterizzata da due capisaldi: la centralità dell’umano e la primazia della relazione sulla costituzione dell’ordine. L’attenzione verso il «problema dell’uomo» e la costruzione del noi conducono l’autore ad elaborare una teoria della legittimità che subordina l’obbedienza allo Stato al «rispetto dell’uomo» nella concretezza «situazionale» delle sue relazioni. In quest’ottica sembrano potersi leggere le riflessioni pigliariane sul banditismo, sulla lotta per il diritto, sulla pena e sulla democrazia.
Dalla sua produzione scientifica, che copre un arco di circa vent’anni, emerge una teoria del diritto caratterizzata da due capisaldi: la centralità dell’umano e la primazia della relazione sulla costituzione dell’ordine. L’attenzione verso il «problema dell’uomo» e la costruzione del noi conducono l’autore ad elaborare una teoria della legittimità che subordina l’obbedienza allo Stato al «rispetto dell’uomo» nella concretezza «situazionale» delle sue relazioni. In quest’ottica sembrano potersi leggere le riflessioni pigliariane sul banditismo, sulla lotta per il diritto, sulla pena e sulla democrazia.