In questo libro, scritto da Tolstój all’età di ottant’anni, due anni prima della morte, si rintraccia in àmbito spirituale il più generale desiderio di creare un sistema scolastico primario all’interno della comunità di suoi seguaci. Nei pressi di Âsnaâ Polâna, suo possedimento e residenza, in quegli anni era attiva una comunità di tolstojani, con anche una scuola per i figli dei contadini, come l’autore scrive all’inizio di questo libro.
La visione del mondo di Tolstój era talmente diversa da quella corrente, e talmente anticonformista, che per ogni materia insegnata in questa scuola era necessario un libro di testo che partisse da premesse diverse. Per questo lo scrittore ha creato personalmente vari testi da impiegarsi a questo scopo. Ha scritto o compilato tra le altre cose quattro libri di lettura, un abbecedario e questo libro su Gesù.
Lo sforzo compilativo e sintetico dell’autore consiste qui innanzitutto nel superamento delle quattro diverse versioni dei quattro evangelisti, a favore di una narrazione più compatta, nella quale i bambini possono ricostruire una “storia”. I problemi esegetici sono lasciati agli adulti, e qui i bambini possono godersi una storia univoca, basata sull’interpretazione di Tolstój stesso.
Un aspetto che colpisce rispetto alle versioni a cui siamo abituati in Italia è che traspare molto forte l’ambientazione ebraica-aramaica di Gesù-Yeshu (a partire dal nome stesso), il fatto che lui inizialmente fosse un ebreo fedele che festeggia non la Pasqua – parola che in noi evoca subito la Pasqua cristiana – ma il Pèsah, la pasqua ebraica. È ben evidente da questo libro che gli ebrei di allora – a causa di Yeshu – si sono divisi in due gruppi: quelli che hanno creduto che Yeshu fosse il Messia atteso e previsto dalla religione ebraica, e quelli che non ci hanno creduto.
Per quanto riguarda la mia traduzione, ho seguìto la prassi normale contemporanea e – ebbene sì – non ho tradotto i nomi propri. Così come nessuno penserebbe di chiamare Bill Gates «Guglielmo Cancelli», o William Shakespeare «Guglielmo Scuotilance», e nessuno chiamerebbe l’Università Bocconi «Mouthful University», penso che nessuno debba pensare di tradurre nessun nome proprio, anche se da secoli siamo abituati a sentire parlare di Maria (Miriàm), Giuseppe (Yosef), Gesù (Yeshu) e i quattro evangelisti: Marcos, Yohanan, Lucas, Matai. A Gerusalemme all’epoca dei fatti non c’era nessun Giuseppe, nessun Giovanni. Perché dovrebbe inserirceli il traduttore? Dato il carattere semplice, non pretenzioso dell’opera di Tolstój, penso che lo Scrittore apprezzerebbe questa attenzione per la realtà storica.
È possibile che lo Scrittore abbia riempito alcune lacune della narrazione con parti della propria fantasia. Non ho la competenza né per asserirlo né per smentirlo.
Mi auguro che alcuni genitori possano trovare questo libro uno strumento utile per informare i figli su uno dei miti più diffusi nel mondo, che si tratti di un’educazione confessionale o no.
La visione del mondo di Tolstój era talmente diversa da quella corrente, e talmente anticonformista, che per ogni materia insegnata in questa scuola era necessario un libro di testo che partisse da premesse diverse. Per questo lo scrittore ha creato personalmente vari testi da impiegarsi a questo scopo. Ha scritto o compilato tra le altre cose quattro libri di lettura, un abbecedario e questo libro su Gesù.
Lo sforzo compilativo e sintetico dell’autore consiste qui innanzitutto nel superamento delle quattro diverse versioni dei quattro evangelisti, a favore di una narrazione più compatta, nella quale i bambini possono ricostruire una “storia”. I problemi esegetici sono lasciati agli adulti, e qui i bambini possono godersi una storia univoca, basata sull’interpretazione di Tolstój stesso.
Un aspetto che colpisce rispetto alle versioni a cui siamo abituati in Italia è che traspare molto forte l’ambientazione ebraica-aramaica di Gesù-Yeshu (a partire dal nome stesso), il fatto che lui inizialmente fosse un ebreo fedele che festeggia non la Pasqua – parola che in noi evoca subito la Pasqua cristiana – ma il Pèsah, la pasqua ebraica. È ben evidente da questo libro che gli ebrei di allora – a causa di Yeshu – si sono divisi in due gruppi: quelli che hanno creduto che Yeshu fosse il Messia atteso e previsto dalla religione ebraica, e quelli che non ci hanno creduto.
Per quanto riguarda la mia traduzione, ho seguìto la prassi normale contemporanea e – ebbene sì – non ho tradotto i nomi propri. Così come nessuno penserebbe di chiamare Bill Gates «Guglielmo Cancelli», o William Shakespeare «Guglielmo Scuotilance», e nessuno chiamerebbe l’Università Bocconi «Mouthful University», penso che nessuno debba pensare di tradurre nessun nome proprio, anche se da secoli siamo abituati a sentire parlare di Maria (Miriàm), Giuseppe (Yosef), Gesù (Yeshu) e i quattro evangelisti: Marcos, Yohanan, Lucas, Matai. A Gerusalemme all’epoca dei fatti non c’era nessun Giuseppe, nessun Giovanni. Perché dovrebbe inserirceli il traduttore? Dato il carattere semplice, non pretenzioso dell’opera di Tolstój, penso che lo Scrittore apprezzerebbe questa attenzione per la realtà storica.
È possibile che lo Scrittore abbia riempito alcune lacune della narrazione con parti della propria fantasia. Non ho la competenza né per asserirlo né per smentirlo.
Mi auguro che alcuni genitori possano trovare questo libro uno strumento utile per informare i figli su uno dei miti più diffusi nel mondo, che si tratti di un’educazione confessionale o no.