Come è sempre accaduto, in tutte le grandi trasformazioni sociali che hanno coinvolto il mondo occidentale, il lavoro ha giocato spesso un ruolo chiave. Dalla rivendicazione di libertà uguaglianza e fratellanza della rivoluzione francese fino alle manifestazioni di piazza delle migliaia di donne che in tutto il mondo affermavano il principio delle pari opportunità, il lavoro ha rappresentato per tutti il mezzo per ottenere la realizzazione e l’indipendenza desiderata. Anche in Italia, oggi, c’è, come del resto in tutto il resto del mondo, una rivoluzione in corso nel mondo delle professioni: la fine del lavoro dipendente. Chi insiste nel cercare lavoro mandando curricula resta deluso il più delle volte, chi riesce a ottenere un contratto lo vede esaurirsi pochi mesi dopo senza possibilità di rinnovo, chi ottiene un contratto a tempo indeterminato può essere licenziato con un’emoticon su what’s up, vedendo affidato alla lacrimuccia luccicante il compito di porgere sentite scuse per la mancanza di preavviso. Se le conquiste sindacali del dopoguerra hanno ottenuto maggiori diritti in tema di sicurezza del posto di lavoro, oggi le cose sono cambiate, e naturalmente anche la percezione del sindacato, da parte dei lavoratori.Fatto sta che la vera precarietà, più che nelle forme di lavoro atipico così come ancora vengono definite le nuove professioni, sta nella non accettazione di un cambiamento evidente ad ogni livello ma che se non visto, produce effetti devastanti che nemmeno il più bieco darwinismo sociale è in grado di prevedere. Il lavoro intraprendente, in questa prospettiva, appare come la scelta più ecologica, ovvero la soluzione a minor impatto ambientale che consente a chi vuole trovare soddisfazione e realizzazione nella sua vita professionale, di adattarsi al meglio ai cambiamenti in atto, divenendo imprenditore di sé stesso o imparando a rapportarsi in modo attivo al nuovo mondo del lavoro.