Le domande dei bambini a volte ci mettono di fronte a delle riflessioni in modo consapevole e costruttivo. «Una bambina dall'occhio arguto - ci racconta Michele Di Gioia, a conclusione di un anno di insegnamento della cosiddetta "materia alternativa all'insegnamento della religione cattolica" in una scuola primaria - un giorno mi chiese come mai lei e i suoi "amici dell'alternativa" non potevano stare con gli altri. Mi chiedeva perché si doveva uscire dalla classe. Perché non potevano stare lì, insieme a tutti, e dover fare qualcos'altro e farlo fuori. Non è importante la risposta che le diedi. Resta però la domanda. Almeno, a me è rimasta in mente. Ed è quella domanda che mi ha spinto a redigere questo testo. Perché essere fuori, perché dover essere fuori? Che fine aveva fatto, in quel momento, la nostra agognatissima inclusività?». Da questa domanda nasce così una serie di riflessioni e proposte sull'inclusività, sulle relazioni e sulla formazione. Perché bisogna uscire fuori? Non si può rimanere dentro con gli altri? Sì, si può rimanere dentro, a patto che anche ciò che viene insegnato "dentro" resti inclusivo. Per la scuola è il tempo di osare, la scuola è una grande risorsa e luogo della democrazia. Lo abbiamo vissuto anche nel periodo della DaD a causa del Covid-19: è a scuola che si impara a vivere nella pluralità e il cambiamento avviene solo attraverso l'ordinarietà, la formazione e un processo di crescita condiviso. Michele Di Gioia nasce in Puglia, in provincia di Foggia. Dopo il diploma conseguito presso il Liceo Classico di Lucera, compie i suoi studi filosofici a Roma e teologici a Molfetta. Attualmente è docente nella provincia di Monza e della Brianza, mentre frequenta il corso di Specializzazione per le Attività di Sostegno Didattico agli Alunni con Disabilità.
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