Per gli antichi greci e romani Estia era la dea dei legami familiari simboleggiata dal fuoco perenne che ardeva sui focolari domestici. Raramente era rappresentata da scultori e pittori perché la sua importanza stava proprio nei rituali simboleggiati dal fuoco.Ogni nuova casa era consacrata con l’accensione del focolare al suo interno; i familiari vi si riunivano attorno in tranquillità e condividendone il calore cucinavano i cibi e si saziavano. La fiamma sacra aveva quindi una relazione vitale con la protezione, il conforto, la coesione familiare. La protagonista autrice di quest’opera coglie dall’antica venerazione l’aspetto più soggettivo. La fiamma è appunto un’ energia d’amore inizialmente assopita che scaturendo dai nostri cuori si espande divenendo forza unificante all’interno di un legame e di una famiglia. L’incontro con Estia è punto finale del percorso autobiografico che l’autrice inquadra come caso (risolto) di depressione atipica o “sindrome da assenza di Estia” come lei personalmente la definisce. Quella fiamma assopita in lei si è progressivamente manifestata lungo i percorsi di vita o, meglio, attraverso pietre e spine di questa depressione. Il lettore noterà il contrasto fra i primi capitoli incentrati su esperienze drammatiche e gli ultimi straordinariamente felici che segnano la sua definitiva vittoria.Ne deriva un messaggio finale di lucido ottimismo. Il suo stile è colloquiale, come se desiderasse confidarsi con il lettore. Un libro da leggersi a cuore aperto.