Luciana Pacifici aveva appena otto mesi quando, il 30 gennaio 1944, da Milano fu deportata ad Auschwitz. Assieme a lei c'erano anche il cugino Paolo Procaccia di quattro mesi più grande, i genitori, gli zii e i nonni. In tutto nove persone. Nove ebrei provenienti da Napoli, la città dalla quale erano fuggiti nell'agosto 1943 a causa dei devastanti bombardamenti. La loro tragica e beffarda storia non è solo quella di tre generazioni spezzate dalle politiche di sterminio del popolo ebraico, di cui la RSI di Mussolini fu attiva protagonista, ma anche quella della piccola Comunità partenopea che solo per una fortuita serie di coincidenze non ebbe a conoscere il lugubre significato della locuzione tedesca Endlösung der Judenfrage. Da sfondo ad una storia di ordinaria quotidianità, che nel giro di appena cinque anni si trasformerà in tragedia per tre famiglie (Procaccia, Pacifici e Molco), c'è la Napoli del ventennio nero, della guerra e dei bombardamenti a tappeto. Ma anche quell'Italia che si è sempre rifiutata di fare i conti con il proprio passato, lasciandoci in eredità una narrazione falsa e fuorviante, che – salvo rare eccezioni – ha ben poco in comune con la realtà dei fatti.