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La solitudine, intrecciata al tema della malattia e del silenzio su di essa, è anche condizione caratteristica del temperamento e della vita dell’autrice (che come la protagonista del romanzo si ammalò di cancro al seno), che nonostante gli onori del Nobel, conferitole nel 1926, visse sempre lontano dai clamori (in una pagina del «Corriere della sera», a seguito dell’assegnazione del premio, fu definita «la taciturna»), anche per non essere stata adeguatamente apprezzata e riconosciuta dalla critica del tempo. Qualcosa sulla protagonista del libro, come molti fra i personaggi della Deledda, lo…mehr

Produktbeschreibung
La solitudine, intrecciata al tema della malattia e del silenzio su di essa, è anche condizione caratteristica del temperamento e della vita dell’autrice (che come la protagonista del romanzo si ammalò di cancro al seno), che nonostante gli onori del Nobel, conferitole nel 1926, visse sempre lontano dai clamori (in una pagina del «Corriere della sera», a seguito dell’assegnazione del premio, fu definita «la taciturna»), anche per non essere stata adeguatamente apprezzata e riconosciuta dalla critica del tempo.
Qualcosa sulla protagonista del libro, come molti fra i personaggi della Deledda, lo troviamo nell’ incipit, che ne sottende chiaramente il senso: «Maria Concezione uscì dal piccolo ospedale del suo paese il sette dicembre, vigilia del suo onomastico. Aveva subito una grave operazione: le era stata asportata completamente la mammella sinistra». Il destino della donna (il cui nome deriva dal latino conceptio-onis, da concipĕre, ‘concepire’), sarà infatti quello di non generare, e di privarsi di quella pienezza e gioia di vivere che pure interpreta come la causa della sua malattia, mai nominata nel romanzo.
Maria Concezione è rassegnata, ombrosa, silenziosa e solitaria: infatti la Deledda proietta su di lei una lettura mitologica del cancro al seno in quello che molti ritengono il più autobiografico dei romanzi della Deledda, senza dubbio uno dei più intensi.
L'essenza che sottende alla struttura che lo sostiene è il senso di colpa, atavico, vissuto come precetto religioso che si oppone ad ogni pulsione carnale.
Come già avvenuto per Elias Portolou la lettura avviene in modo veloce, un lento susseguirsi di azioni, di sguardi, sensazioni ed emozioni.
Ma non è il piano narrativo a suscitare l'interesse del lettore, ma gli attori che interpretano la vicenda narrata e la rendono viva, nonostante la morte che aleggia ovunque e che rende quasi palese la sua presenza nella pur totale assenza di consapevolezza da parte di tutti ad eccezione della malata.
I personaggi sono i fili colorati che compongono il ricamo, si intrecciano dando sostanza ad un canovaccio che altrimenti sarebbe scarno e anonimo.
Lo stile della Deledda è ancora più moderno ed essenziale che in passato: abbandonata quasi del tutto l'ispirazione verista attinge dal decadentismo, ma crea uno stile tutto personale che affonda le radici in un terreno imbibito di religione, ma anche di superstizione, di provincialismo ed egoismo.
Ancora una volta descrive la Sardegna per raccontare il mondo, racconta la storia di Maria Concezione per parlare dell'Umanità.
L’epilogo rimane aperto al lettore; probabilmente l’autrice proiettò a tal punto se stessa sul suo alter ego narrativo da non poterne stabilire il destino, ma rimane il senso della personalità di una donna fra le più affascinanti della creazione letteraria del nostro Novecento.
Va letto, lasciato decantare e come un buon vino d'annata assaporato con calma e pazienza, affinché possa penetrare nel profondo del proprio essere.
Autorenporträt
Deledda was born in Nuoro, Sardinia, into a middle-class family, to Giovanni Antonio Deledda and Francesca Cambosu, as the fourth of seven siblings. She attended elementary school (the minimum required at the time) and was then educated by a private tutor (a guest of one of her relatives) and moved on to study literature on her own. It was during this time that she started displaying an interest in writing short novels, mostly inspired by the life of Sardinian peasants and their struggles. Her teacher encouraged her to submit her writing to a newspaper and, at age 13, her first story was published in a local journal. Some of Deledda's early works were published in the fashion magazine L'ultima moda between 1888 and 1889. In 1890 Trevisani published Nell'azzurro (Into the Blue), her first collection of short stories. Deledda's main focus was the representation of poverty and the struggles associated with it through a combination of imaginary and autobiographical elements. Her family wasn't particularly supportive of her desire to write.