Nel piccolo paese di Banzos, il vecchio maestro insegnava a scrivere e a leggere. Poi, ai suoi alunni, raccontava antiche leggende che aveva ascoltato quando era ancora bambino. Raccontava anche tziu Boreddu, il vecchio pastore che aveva l’ovile sull’altopiano di Benthos, dominato dal vento e teatro in passato di una sanguinosa battaglia che il re Talo e la sua gente avevano combattuto, fino all’ultimo, contro gli uomini arrivati dal mare. Parlavano tutti, allora. Uomini colti e ignoranti perché tutti avevano un ruolo e sapevano che per tenere in vita la comunità del racconto c’era una sola via: trasmettere il proprio sapere, di generazione in generazione. Perché nulla andasse perduto, compresa la storia di quel popolo che conosceva il valore della libertà e il rispetto delle regole. La danza della farfalla ci consegna – dentro spicchi di memorie addormentate – due intense storie d’amore che si muovono parallele, attraversando i millenni. Quella di Tylo e Shaar, la dolce e sfortunata figlia del re Talo, è ambientata intorno all’ottavo secolo avanti Cristo, periodo di grande vitalità della civiltà nuragica; la seconda, quella di Marco e Aurora, è dei giorni nostri. Come sfondo un territorio suggestivo e carico di un glorioso passato. Qualcosa di magico, e di poetico, tiene insieme le due storie così apparentemente lontane. Tutto il percorso dei quattro giovani è misteriosamente tracciato da una farfalla che compare in ogni momento cruciale del romanzo, fino a diventare il suo filo conduttore. Le storie non muoiono mai, se qualcuno le racconta; i sogni ci accompagnano sempre, finché c’è vita. Gli innamorati di oggi sognano come quelli di tremila anni fa. Ma, allora come adesso, il destino può spezzare l’incantesimo.