Le condizioni di vita delle popolazioni indigene dell'America Latina rappresentano da sempre, dai tempi dei Conquistadores, una ferita aperta e sanguinante del sub-continente americano. La violazione dei loro diritti fondamentali si è andata cristallizzando nei secoli nel sistema politico, sociale ed economico delle strutture statali di appartenenza, dando vita ad una sorta di istituzionalizzazione della povertà e dell'esclusione delle popolazioni indigene da qualunque processo decisionale partecipativo e di autodeterminazione.
Il dibattito che, a partire dagli anni '50-'60, si è instaurato intorno alla crescente disuguaglianza tra Nord e Sud del mondo, con un aumento sempre più significativo delle masse ridotte in uno stato di estrema povertà, ha finalmente dato la giusta visibilità alla questione indigena, inserendola nel quadro più ampio della lotta contro ogni tipo di povertà e discriminazione. Lungo questo cammino, un'impronta indelebile l'ha impressa la Teologia della Liberazione, quella parte, cioè, della Chiesa Cattolica Latinoamericana che, sull'onda innovatrice del Concilio Vaticano II, scelse di fare da cassa di risonanza al grido di milioni di persone fino ad allora rimasto inascoltato, se non soffocato, dalle elites al potere. Essa, grazie al canale preferenziale offerto dalla fede, si immerse completamente nella realtà di milioni di persone ridotte in miseria, fino a darne un quadro chiaro, puntuale e preciso e restituendo al mondo intero l'immagine delle estreme conseguenze a cui il sistema globale dominante era arrivato. Per impedire l'inasprimento di quegli effetti era necessario un cambio di rotta, che la Teologia della Liberazione declinò nell' opzione per i poveri, nella lotta, anche politica, per la giustizia, la libertà ed il rispetto dei diritti fondamentali.
Barbara Curti (Spoleto, 1977) si è laureata in Scienze Politiche, indirizzo politico-internazionale, presso l'Università degli Studi di Perugia, con una tesi su “Il Vaticano e le Chiese Ortodosse dopo la caduta del Muro di Berlino”. In seguito, ha conseguito un Master in “Peacekeeping and Security Studies” presso la Facoltà di Scienze Politiche dell'Università di RomaTre, di cui il presente testo rappresenta il lavoro finale. Il percorso di studi la mette in contatto con tutto quel mondo schierato dalla parte della difesa dei diritti umani e decide, quindi, di proseguire sulla strada della cooperazione allo sviluppo. Il primo passo in tale direzione la porta per tre mesi a Kathamdu, in Nepal, come volontaria per un' ONG locale, dove entra nello staff che si occupa del programma di educazione e animazione per i bambini di strada. Al rientro in Italia, prosegue gli studi nell'ambito della cooperazione allo sviluppo, conseguendo tre diplomi di specializzazione presso il VIS (Volontariato Internazionale per lo Sviluppo): “Progettare lo Sviluppo”; “Cooperazione allo sviluppo”; “Advocacy per i diritti umani”. Nel frattempo, lavora nel fundraising per il no-profit, occupandosi di face to face su mandato di realtà come Save the Children e UNHCR. Porta costantemente avanti il suo impegno a favore dei diritti umani come membro di varie associazioni del territorio e come attivista di Amnesty International.
In copertina donna presso il lago Titicaca situato tra Perù e Bolivia.
Il dibattito che, a partire dagli anni '50-'60, si è instaurato intorno alla crescente disuguaglianza tra Nord e Sud del mondo, con un aumento sempre più significativo delle masse ridotte in uno stato di estrema povertà, ha finalmente dato la giusta visibilità alla questione indigena, inserendola nel quadro più ampio della lotta contro ogni tipo di povertà e discriminazione. Lungo questo cammino, un'impronta indelebile l'ha impressa la Teologia della Liberazione, quella parte, cioè, della Chiesa Cattolica Latinoamericana che, sull'onda innovatrice del Concilio Vaticano II, scelse di fare da cassa di risonanza al grido di milioni di persone fino ad allora rimasto inascoltato, se non soffocato, dalle elites al potere. Essa, grazie al canale preferenziale offerto dalla fede, si immerse completamente nella realtà di milioni di persone ridotte in miseria, fino a darne un quadro chiaro, puntuale e preciso e restituendo al mondo intero l'immagine delle estreme conseguenze a cui il sistema globale dominante era arrivato. Per impedire l'inasprimento di quegli effetti era necessario un cambio di rotta, che la Teologia della Liberazione declinò nell' opzione per i poveri, nella lotta, anche politica, per la giustizia, la libertà ed il rispetto dei diritti fondamentali.
Barbara Curti (Spoleto, 1977) si è laureata in Scienze Politiche, indirizzo politico-internazionale, presso l'Università degli Studi di Perugia, con una tesi su “Il Vaticano e le Chiese Ortodosse dopo la caduta del Muro di Berlino”. In seguito, ha conseguito un Master in “Peacekeeping and Security Studies” presso la Facoltà di Scienze Politiche dell'Università di RomaTre, di cui il presente testo rappresenta il lavoro finale. Il percorso di studi la mette in contatto con tutto quel mondo schierato dalla parte della difesa dei diritti umani e decide, quindi, di proseguire sulla strada della cooperazione allo sviluppo. Il primo passo in tale direzione la porta per tre mesi a Kathamdu, in Nepal, come volontaria per un' ONG locale, dove entra nello staff che si occupa del programma di educazione e animazione per i bambini di strada. Al rientro in Italia, prosegue gli studi nell'ambito della cooperazione allo sviluppo, conseguendo tre diplomi di specializzazione presso il VIS (Volontariato Internazionale per lo Sviluppo): “Progettare lo Sviluppo”; “Cooperazione allo sviluppo”; “Advocacy per i diritti umani”. Nel frattempo, lavora nel fundraising per il no-profit, occupandosi di face to face su mandato di realtà come Save the Children e UNHCR. Porta costantemente avanti il suo impegno a favore dei diritti umani come membro di varie associazioni del territorio e come attivista di Amnesty International.
In copertina donna presso il lago Titicaca situato tra Perù e Bolivia.