Oggi – cioè dieci anni dopo – questa nuova edizione non si giustifica affatto con il solito falso complimento di un libro che rimane attuale. Al contrario, quello che lo rende utile e ancora utensile, è la sua felice “inattualità”. A rileggere ci si accorge, infatti, non che il tempo è passato e il mondo è cambiato, ma al contrario che il tempo è cambiato e il mondo è passato… Sì, “passato” nel senso del successo di una mutazione stagnante che non sembra più aperta al mutamento, oggi che la globalizzazione non è più un processo in fieri ma un prodotto a prezzo basso e fisso nel mercato che è il nuovo nome del mondo, oggi che non si vede e non si va più in fabbrica, coperti come siamo dai tetti dei fabbricati e dai fitti reticolati che non solo virtualmente sono davvero un “altro mondo”. Che poi è l’esatto contrario di quel “mondo degli altri”, verso cui il saggio di De Luca guardava allora e insegna a guardare ancora come sorgente critica e come speranza etica per ridare senso (magari!) alle fabbriche del mondo.
Piergiorgio Giacché
Se avessi dovuto riscrivere oggi queste pagine, sarebbero state attraversate da meno ottimismo e più radicalità. La condizione di disperante impotenza e di perdita di senso dell’esperienza umana davanti alla mercificazione di ogni aspetto della vita a opera dell’industria dell’intrattenimento, appare senza rimedio. Eppure quando sembra che tutto è perduto, basta un virus e «da una situazione in cui nulla può accadere, tutto di colpo torna possibile». Seppure attraverso le parole del più disperato critico del capitalismo, Mark Fisher, una speranza si riaffaccia all’orizzonte. Ciò che non era neppure pensabile fino a un momento fa, e cioè la fine del capitalismo e la riparazione dell’equilibrio tra l’uomo e la natura, torna a essere non solo immaginabile ma necessario. Una speranza laica sì, una speranza senza dei né demoni, avrebbe detto Grotowski, ma sempre di una speranza si tratta. Ma questa è un’altra storia.
Luigi De Luca
Piergiorgio Giacché
Se avessi dovuto riscrivere oggi queste pagine, sarebbero state attraversate da meno ottimismo e più radicalità. La condizione di disperante impotenza e di perdita di senso dell’esperienza umana davanti alla mercificazione di ogni aspetto della vita a opera dell’industria dell’intrattenimento, appare senza rimedio. Eppure quando sembra che tutto è perduto, basta un virus e «da una situazione in cui nulla può accadere, tutto di colpo torna possibile». Seppure attraverso le parole del più disperato critico del capitalismo, Mark Fisher, una speranza si riaffaccia all’orizzonte. Ciò che non era neppure pensabile fino a un momento fa, e cioè la fine del capitalismo e la riparazione dell’equilibrio tra l’uomo e la natura, torna a essere non solo immaginabile ma necessario. Una speranza laica sì, una speranza senza dei né demoni, avrebbe detto Grotowski, ma sempre di una speranza si tratta. Ma questa è un’altra storia.
Luigi De Luca