L’idea di raccontare la mia vita, e cioè le vicende tristi e liete di cui s’intesse la vita degli uomini, mi è venuta improvvisamente nella notte dal 2 al 3 dicembre, nella cella numero trentanove delle carceri di Forlì, mentre cercavo invano il sonno. L’idea mi è piaciuta e intendo tradurla nel fatto. Ho ventotto anni. Sono giunto, io credo, a quel punto che Dante chiama «il mezzo del cammin di nostra vita». Vivrò altrettanto? Ne dubito. Il mio passato avventuroso è ignoto. Ma io non scrivo per i curiosi, scrivo invece per rivivere la mia vita. Da oggi, giorno per giorno, ritornerò ciò che fui nei miei anni migliori. Ripasserò per la strada già percorsa, mi soffermerò alle tappe più memorabili, mi disseterò alle fonti che io credevo inaridite, riposerò sotto l’ombra di alberi che ritenevo abbattuti. Io mi scopro. Ecce homo. Ricompongo la tela del mio destino. Cominciato il 4 dicembre 1911, ripreso il 24 febbraio 1912.