La presente edizione è corredata da dodici illustrazioni inedite.
La proposta psicoanalitica si scontrò negli anni venti e trenta dello scorso secolo con un sistema filosofico molto potente, quello dell’idealismo gentiliano, che la assimilò al decadentismo senza peraltro dedicarle troppo interesse. Su questa base fu facile per l’ideologia fascista impartire una condanna radicale della psicoanalisi, stigmatizzando il pessimismo freudiano in nome dell’ottimismo volontaristico, e mal sopportando il disagio portatole dal concetto dell’inconscio e la prossimità tra la malattia mentale e la normalità.
Non si può dimenticare, inoltre, che Freud e la maggior parte dei suoi discepoli, così come molti dei primi psicoanalisti italiani, tra i quali l’autore di questo libro, erano ebrei. Su di loro cadeva quindi la condanna dell’antisemitismo e le conseguenti sanzioni. Bonaventura riparò in Palestina, Servadio in India, Weiss partì per gli Stati Uniti, Levi Bianchini dovette ricorrere alla clandestinità. Il solo analista non ebreo era Nicola Perrotti (1897-1970), perseguitato comunque per il suo antifascismo, solo nell’immediato dopoguerra potrà rifondare la Società psicoanalitica non mancando di coniugare la sua attività di medico psicanalista con la figura di «guaritore» propria della tradizione d’Abruzzo, sua terra d’origine.
Un’altra dura condanna giunse alla psicoanalisi dalla Chiesa cattolica. La sua teoria fu respinta come espressione del determinismo positivista, inconciliabile con la dottrina del libero arbitrio, ed inoltre come pansessualista e materialista. D’altro canto nell’Unione Sovietica la psicoanalisi veniva bandita come psicologia spiritualista.
Lo stesso padre Agostino Gemelli dell’Università Cattolica di Milano, psicologo tra i più attenti dell’epoca e conoscitore della cultura psichiatrica tedesca, pur comprendendo l’importanza della psicoanalisi per superare la staticità della psicologia filosofica, preferì pavidamente allinearsi con la condanna fascista.
Nel 1934 venne proibita la pubblicazione della «Rivista italiana di Psicoanalisi», che era stata fondata due anni prima, e nel 1938 venne sciolta la Società Psicanalitica, rifondata nel 1934 da Weiss. Conseguente quindi l’atteggiamento difensivo, che non favorì certo il dibattito interno e, dopo la guerra, fu all’origine delle difficoltà che dovettero affrontare le nuove generazioni di analisti. Alla fine della guerra la psicoanalisi risulta completamente assente dalle università e del tutto sconosciuta alla maggior parte degli psichiatri.
In questo quadro il testo di Bonaventura, pubblicato nel 1937 in prima edizione e nel 1948 (e successive ristampe) nel dopoguerra, fu certamente per anni uno strumento divulgativo importante ed ebbe certamente un ruolo non trascurabile per diffondere e radicare le idee psicanalitiche sia tra i possibili addetti ai lavori che tra il pubblico.
La proposta psicoanalitica si scontrò negli anni venti e trenta dello scorso secolo con un sistema filosofico molto potente, quello dell’idealismo gentiliano, che la assimilò al decadentismo senza peraltro dedicarle troppo interesse. Su questa base fu facile per l’ideologia fascista impartire una condanna radicale della psicoanalisi, stigmatizzando il pessimismo freudiano in nome dell’ottimismo volontaristico, e mal sopportando il disagio portatole dal concetto dell’inconscio e la prossimità tra la malattia mentale e la normalità.
Non si può dimenticare, inoltre, che Freud e la maggior parte dei suoi discepoli, così come molti dei primi psicoanalisti italiani, tra i quali l’autore di questo libro, erano ebrei. Su di loro cadeva quindi la condanna dell’antisemitismo e le conseguenti sanzioni. Bonaventura riparò in Palestina, Servadio in India, Weiss partì per gli Stati Uniti, Levi Bianchini dovette ricorrere alla clandestinità. Il solo analista non ebreo era Nicola Perrotti (1897-1970), perseguitato comunque per il suo antifascismo, solo nell’immediato dopoguerra potrà rifondare la Società psicoanalitica non mancando di coniugare la sua attività di medico psicanalista con la figura di «guaritore» propria della tradizione d’Abruzzo, sua terra d’origine.
Un’altra dura condanna giunse alla psicoanalisi dalla Chiesa cattolica. La sua teoria fu respinta come espressione del determinismo positivista, inconciliabile con la dottrina del libero arbitrio, ed inoltre come pansessualista e materialista. D’altro canto nell’Unione Sovietica la psicoanalisi veniva bandita come psicologia spiritualista.
Lo stesso padre Agostino Gemelli dell’Università Cattolica di Milano, psicologo tra i più attenti dell’epoca e conoscitore della cultura psichiatrica tedesca, pur comprendendo l’importanza della psicoanalisi per superare la staticità della psicologia filosofica, preferì pavidamente allinearsi con la condanna fascista.
Nel 1934 venne proibita la pubblicazione della «Rivista italiana di Psicoanalisi», che era stata fondata due anni prima, e nel 1938 venne sciolta la Società Psicanalitica, rifondata nel 1934 da Weiss. Conseguente quindi l’atteggiamento difensivo, che non favorì certo il dibattito interno e, dopo la guerra, fu all’origine delle difficoltà che dovettero affrontare le nuove generazioni di analisti. Alla fine della guerra la psicoanalisi risulta completamente assente dalle università e del tutto sconosciuta alla maggior parte degli psichiatri.
In questo quadro il testo di Bonaventura, pubblicato nel 1937 in prima edizione e nel 1948 (e successive ristampe) nel dopoguerra, fu certamente per anni uno strumento divulgativo importante ed ebbe certamente un ruolo non trascurabile per diffondere e radicare le idee psicanalitiche sia tra i possibili addetti ai lavori che tra il pubblico.