L’11 ottobre del 2014, quattro milioni e mezzo di telespettatori italiani (con uno share del 17.88) hanno seguito su RaiDue con il fiato sospeso la semifinale dei Mondiali di volley femminile che vedeva le ragazze della nostra Nazionale contro quelle della Cina.E’ stato il picco entusiasmante di venti giorni di passione, nei quali mezza Italia si è letteralmente innamorata della sua squadra di pallavolo: merito di campionesse come la “pantera” Diouf, la giovanissima Chirichella, l’esperta Piccinini, che si sono guadagnate sul campo il titolo di star del mondo dello sport attuale.Al timone di questa formazione c’è un uomo di cinquantuno anni, romagnolo di nascita, ex paracadutista, la faccia di uno che non molla mai. Si chiama Marco Bonitta, e se non proprio una star, è diventato un personaggio molto popolare anche lui. La sua storia è fatta di grandi successi, delusioni brucianti e riscosse clamorose. Primo e unico CT italiano a vincere un campionato mondiale sotto rete, nel 2002 a Berlino, l’uomo è passato dall’altare alla polvere e ritorno, ha conosciuto la rabbia e il perdono, non soltanto sul campo da pallavolo. E’ salito sul tetto del mondo, ma poi è caduto dalla sua panchina per volere delle sue stesse giocatrici, alla vigilia delle Olimpiadi del 2006. Si è rimesso in discussione, ripartendo dal basso per arrivare ad essere richiamato a furor di popolo alla guida dell’Italia.Nella squadra del 2014 c’erano le giocatrici che l’avevano fatto cadere otto anni prima. Con la forza del dialogo, del rispetto, dell’autocritica positiva, Bonitta ha saputo ricostruire un rapporto forte, rilanciarsi e costruire il miracolo degli ultimi Mondiali.Perché dopo la sconfitta con la Cina, prima della finale per il terzo posto, quando le ragazze del volley e il loro allenatore sono entrati in campo, dagli spalti del Forum di Assago è partita una vera ovazione. “Mi sono dovuto addirittura fermare perché la gente mi chiamava, per rispondere al loro tifo”, racconta Bonitta. E questo, per un Paese di cui conosciamo bene la mentalità non solo sportiva, è davvero un “miracolo italiano”.
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