Sabato 12 agosto 2000. Mare di Barents. Alle 11:28 una forte esplosione, registrata sin dai sismografi norvegesi e inglesi, scuote le fredde acque a largo della penisola di Kola, a circa 85 miglia dal porto di Murmansk, nella Russia nord occidentale . In quel preciso momento il destino del sottomarino nucleare K-141 Kursk – l’unità d’attacco subacquea più grande al mondo e fiore ad occhiello della Marina russa – così come quello dei 118 marinai a bordo era segnato: l’unità si inabissò nelle scure acque adagiandosi a circa cento metri di profondità. Non vi saranno sopravvissuti. A quasi vent’anni di distanza da quello che rappresenta uno dei maggiori disastri navali militari occorsi in tempo di pace, il ricordo continua a restare impresso nelle menti e nei cuori delle 118 famiglie che quel tragico giorno hanno perso un marito, un padre o un figlio, assieme ai contorni sfumati di una vicenda che continua ad essere per certi versi ancora oscura. L’affondamento del Kursk pone infatti interrogativi tecnici che chiamano in causa il grave stato di arretratezza nel quale versava la Marina militare russa, erede di una flotta sovietica elefantiaca nelle dimensioni, ed oramai decadente ed obsoleta; ma che suggerisce anche una riflessione di tipo politico più articolata, configurandosi quale primo scenario di crisi per l’allora Vladimir Putin, eletto per la prima volta appena da tre mesi quale neo presidente della Federazione Russa . Qualsiasi proposta di ricostruzione si è dovuta sino ad ora scontrare con la complessità degli eventi ed i numerosi risvolti poco chiari. Tale incertezza e nella narrazione e come realmente si svolsero i fatti permane tutt’oggi (2018) anche perché continua ad essere parziale e incompleto l’accesso alle fonti primarie e ai documenti che risultano ancora classificati e non accessibili, dal momento che sin da subito la vicenda è stata definita dal governo russo segreto di stato. Altrettanto deludente risulta la ricerca di materiale primario presso i paesi occidentali, con alcuni documenti accessibili che alludono all’incidente ma non entrano nel merito. Per un riscontro maggiore dalle fonti si dovrà dunque attendere almeno sino al 2030, ossia quando sarà trascorso il vincolo trentennale della segretezza dei documenti ed al Cremlino spetterà la decisione se prorogare la riservatezza degli stessi oppure autorizzarne una quantomeno parziale fruibilità pubblica . In merito, la speranza che un accesso ai documenti possa avvenire in tempi ancora più brevi è stata ventilata nel giugno 2017 da Igor Permyakov, direttore degli Archivi del Ministero della Difesa russi che ha dichiarato che «Fifteen years have passed since this tragedy, but a government may decide to establish a commission earlier». Tuttavia, dopo più di un anno, tale annuncio non ha avuto alcun seguito . Alla luce dei limiti che affliggono qualsivoglia ricostruzione della vicenda e per non prestare il fianco a ipotesi che certamente possono destare maggiormente la fantasia di chi legge, ma che hanno scarso riscontro nei documenti disponibili, l’obiettivo del presente saggio è quello di presentare al lettore una narrazione quanto più possibile completa e dettagliata degli eventi che accaddero in quell’agosto del 2000, inserendo la vicenda nello scenario politico interno ed internazionale nella quale venne a inserissi, e sui molteplici risvolti e conseguenze che l’affondamento del Kursk ebbe per la nuova Russia di Putin all’alba del XXI secolo.