La chiave per decifrare il mistero Edgar Allan Poe è introvabile. La teneva in tasca lui stesso quando fu trovato riverso su un marciapiede di Baltimora: fu malmenato, derubato o assassinato? Sarebbe morto comunque perché malato?
Alcolismo, depressione, perversione, mania di persecuzione: che nome dare alla sua malattia? Di sicuro ne aveva una: la Letteratura, alla quale sacrificò denaro, amore, prestigio.
Il termometro della febbre si chiamava Poesia e lo scopo della guarigione Bellezza, intesa come verità, aspirazione eterna, fine ultimo dell’uomo, da ricercarsi ovunque, persino nella deformità, nel grottesco, nell’intelligenza analitica e negli abissi del cuore umano.
Edgar Allan Poe fu soprattutto un veggente: anticipò la critica moderna e generi letterari come la detective story e il gotico moderno, in una società – quella americana degli inizi dell’Ottocento – priva di una cultura nazionale, che sarebbe sprofondata, da lì a poco, nella tragedia della Guerra Civile.
Come autore fu disprezzato dai più; costretto ai margini come giornalista, non pubblicò mai per intero una raccolta né di racconti, né di poesie. Solo nel suo ultimo anno di vita conobbe una certa fama grazie alla poesia Il Corvo, composta come estremo “graffio” al mondo che lo ignorava. Abbandonato a più riprese dagli affetti più cari, assaporò l’amore solo per essere costretto a separarsene.
In vita sua guadagnò poco più di 300 dollari e scrisse i suoi migliori racconti sotto l’urgenza della fame e del freddo: tanto gli costò il suo posto nella letteratura mondiale.
Teresa Campi, nata a Terracina, è romana di adozione. Ha studiato all’Università La Sapienza di Roma: suoi maestri Elémire Zolla ed Elio Chinol. Ha conseguito un master in Educazione alla Pace e svolto corsi in nome del World Compassion for Children International sui diritti umani, fondato dal premio Nobel Betty Williams. Ha esordito come giornalista ai culturali di Paese Sera e ha pubblicato Il canzoniere di Isabella Morra (Bibliofilo, 1980); Cenere e polvere (Savelli, 1981); Le ore casalinghe (Il Bagatto, 1982); Sul ritmo saffico (Bulzoni, 1983); Il sangue e l’oblio (Edizioni del Girasole, 1996); Le cucine desolate (Manni, 1999); Storia elementare (Manni, 2006); D’Amore e morte. Byron, Shelley e Keats a Roma (Albeggi, 2016). Ha tradotto opere di Renée Vivien, Pétrus Borel, Pierre Louÿs e il carteggio di P.B. Shelley: Morire in Italia (Archinto, 1986).
Alcolismo, depressione, perversione, mania di persecuzione: che nome dare alla sua malattia? Di sicuro ne aveva una: la Letteratura, alla quale sacrificò denaro, amore, prestigio.
Il termometro della febbre si chiamava Poesia e lo scopo della guarigione Bellezza, intesa come verità, aspirazione eterna, fine ultimo dell’uomo, da ricercarsi ovunque, persino nella deformità, nel grottesco, nell’intelligenza analitica e negli abissi del cuore umano.
Edgar Allan Poe fu soprattutto un veggente: anticipò la critica moderna e generi letterari come la detective story e il gotico moderno, in una società – quella americana degli inizi dell’Ottocento – priva di una cultura nazionale, che sarebbe sprofondata, da lì a poco, nella tragedia della Guerra Civile.
Come autore fu disprezzato dai più; costretto ai margini come giornalista, non pubblicò mai per intero una raccolta né di racconti, né di poesie. Solo nel suo ultimo anno di vita conobbe una certa fama grazie alla poesia Il Corvo, composta come estremo “graffio” al mondo che lo ignorava. Abbandonato a più riprese dagli affetti più cari, assaporò l’amore solo per essere costretto a separarsene.
In vita sua guadagnò poco più di 300 dollari e scrisse i suoi migliori racconti sotto l’urgenza della fame e del freddo: tanto gli costò il suo posto nella letteratura mondiale.
Teresa Campi, nata a Terracina, è romana di adozione. Ha studiato all’Università La Sapienza di Roma: suoi maestri Elémire Zolla ed Elio Chinol. Ha conseguito un master in Educazione alla Pace e svolto corsi in nome del World Compassion for Children International sui diritti umani, fondato dal premio Nobel Betty Williams. Ha esordito come giornalista ai culturali di Paese Sera e ha pubblicato Il canzoniere di Isabella Morra (Bibliofilo, 1980); Cenere e polvere (Savelli, 1981); Le ore casalinghe (Il Bagatto, 1982); Sul ritmo saffico (Bulzoni, 1983); Il sangue e l’oblio (Edizioni del Girasole, 1996); Le cucine desolate (Manni, 1999); Storia elementare (Manni, 2006); D’Amore e morte. Byron, Shelley e Keats a Roma (Albeggi, 2016). Ha tradotto opere di Renée Vivien, Pétrus Borel, Pierre Louÿs e il carteggio di P.B. Shelley: Morire in Italia (Archinto, 1986).