Palermo, 2007. Un uomo racconta il suo ultimo anno di vita, lo racconta da morto, ci dice i perché, ci spiega i per come, ci catapulta in un luogo realissimo, contingente, eppure quasi fantasmagorico, segnato da una cultura al ribasso, che propone speranze a ogni cantone, solo per il gusto di vederle sfiorire. Ernesto è un killer. Un uomo buono. Cattivissimo. Con una sensibilità molto spiccata. Un uomo che ha vissuto un'infanzia povera di prospettive, un'adolescenza infame, una giovinezza sonnolenta e poi d'improvviso gagliarda, fino al giorno della sua morte. Parla soprattutto dell'impossibilità della redenzione, ché la parola redenzione, a volerci ragionare, è la parola più distante dalla parola redenzione, poiché propone un antidoto alla colpa, la assoggetta a una miriade di attenuanti, la sotterra, la dimentica. E invece la colpa andrebbe annoverata, sempre, ed esposta in bella mostra fra i fallimenti dell'esistenza, presa di petto, colpita ai fianchi, affinché non si abbiano sconti in qualsiasi futuro immaginiamo di dover ancora vivere.
Proposto per il Premio Strega 2020 da Giulia Ciarapica: «"La vita schifa" di Rosario Palazzolo è quello che, a tutti gli effetti, può definirsi un romanzo vorticoso, in cui la complessità della trama, la profonda introspezione psicologica del protagonista – Ernesto Scossa, di professione "ammazzatore" – e la serrata costruzione degli eventi che si inseriscono in un'atmosfera di umoristica cupezza, si sposano alla perfezione con la tematica principale. Il fil rouge, come si intuisce fin dalle prime pagine e che regge le redini della faccenda, è il tema della colpa e la conseguente inutilità delle attenuanti, ovvero l'impossibilità di redenzione. Il protagonista, che racconta – da morto – il suo ultimo anno di vita, ripercorrendo tutte le fasi di un'esistenza altalenante, priva di prospettive prima e poi improvvisamente rampante, riflette a tutto tondo sul suo ruolo di killer, che è come riflettere, pagina dopo pagina, sul senso della morte e sul valore della vita, propria e altrui. Ciò che contraddistingue l'andamento ritmico della storia e che ne fa un'opera altamente originale, è la lingua. Palazzolo si muove con disinvoltura tra neologismi, giochi (musicali) di parole e lunghi periodi che assomigliano a flussi di coscienza e che, proprio per questo, rimandano chiaramente alla complessità psicologica del personaggio in questione: i pensieri di Ernesto Scossa si snodano, pagina dopo pagina, di fronte ad un lettore già fortemente rapito dal tortuoso sviluppo della narrazione
Proposto per il Premio Strega 2020 da Giulia Ciarapica: «"La vita schifa" di Rosario Palazzolo è quello che, a tutti gli effetti, può definirsi un romanzo vorticoso, in cui la complessità della trama, la profonda introspezione psicologica del protagonista – Ernesto Scossa, di professione "ammazzatore" – e la serrata costruzione degli eventi che si inseriscono in un'atmosfera di umoristica cupezza, si sposano alla perfezione con la tematica principale. Il fil rouge, come si intuisce fin dalle prime pagine e che regge le redini della faccenda, è il tema della colpa e la conseguente inutilità delle attenuanti, ovvero l'impossibilità di redenzione. Il protagonista, che racconta – da morto – il suo ultimo anno di vita, ripercorrendo tutte le fasi di un'esistenza altalenante, priva di prospettive prima e poi improvvisamente rampante, riflette a tutto tondo sul suo ruolo di killer, che è come riflettere, pagina dopo pagina, sul senso della morte e sul valore della vita, propria e altrui. Ciò che contraddistingue l'andamento ritmico della storia e che ne fa un'opera altamente originale, è la lingua. Palazzolo si muove con disinvoltura tra neologismi, giochi (musicali) di parole e lunghi periodi che assomigliano a flussi di coscienza e che, proprio per questo, rimandano chiaramente alla complessità psicologica del personaggio in questione: i pensieri di Ernesto Scossa si snodano, pagina dopo pagina, di fronte ad un lettore già fortemente rapito dal tortuoso sviluppo della narrazione