Cesare Lombroso, noto psichiatra e antropologo vissuto nella Seconda metà dell’Ottocento avanzò una teoria molto particolare che diventerà il teorema dell’antropologia criminale contemporanea. Nell’Uomo delinquente un saggio triadico che si dirama tra le branche dell’Antropologia, della Giurisprudenza e della Psichiatria egli individua in alcuni tratti somatici del volto (per esemplificare in alcune incurvature, solchi, sigomi e in talune caratteristiche posturali, nonché nelle tipici conformazioni dell’encefalo) la sembianza fisica dell’uomo deviato. Tuttavia egli non si limita a raffigurare, analiticamente, il ritratto anatomico della patologia mentale ma si addentra in una argomentazione molto più complessa, di natura sociologica, sui comportamenti estrosi e bizzarri, fuori dal concetto ordinario di “norma” che condurrebbero l’uomo per natura ad atti criminosi. Una teoria, che, paradossalmente, per quanto sia difficile crederlo, poteva e potrebbe tuttora rassicurare perché rappresenta il tentativo di dare un volto alla follia. Ecco perché gli studi condotti da Lombroso sono ancora molto attuali nel momento in cui la psichiatria contemporanea cerca di costruire l’identikit dell’assassino proprio attingendo dalla analisi della vita quotidiana, delle sue abitudini e dei suoi comportamenti sociali. In realtà, il discorso di Lombroso è molto più complesso perché egli non si limita allo scarto evoluzionistico darwiniano più vicino alle teorie naturalistiche che a quelle antropologiche, al contrario cerca di approcciarsi all’atto delittuoso e a colui che lo compie, non attraverso la dicotomica distinzione tra “oggetto” e “soggetto” ma cercando di carpirne la dynamis interna (per usare un linguaggio caro all’etimologia greca) cioè l’energia proveniente dai rituali e dai simboli che sottendono lo iato tra l’atto criminoso e colui che agisce, una forza che non è necessariamente titanica o distruttiva come si vuol far credere. Lombroso rappresenta l’evoluzione di quella psicologia scientifica che si afferma proprio alla fine dell’Ottocento, che affondava le proprie radici nella psicoanalisi di Freud e Jung per proseguire nella prima decade del Novecento con il costruttivismo. Lombroso, per la prima volta, cerca di superare la diatriba tra creazionismo ed evoluzionismo che peraltro anima ancora oggi il dibattito epistemologico attraverso quella prospettiva costruttivista che nell’Unione Sovietica era molto presente già a partire dal 1913 e che in Europa arriva più tardi. L’uomo non è creato da Dio, ma non è neppure creatore, non è artefice ma costruttore delle proprie azioni sulla base della relazione con il mondo esterno, in una rete sociologica e antropologica dell’atto criminoso in cui al centro non c’è l’atto stesso come oggetto da biasimare, condannare o demonizzare ma vi è la personalità di colui che lo compie. Oggi l'archetipo dell’uomo criminale è riferibile al delirio di onnipotenza di chi assale la società senza alcuno scrupo di coscienza.