“L’ariaròun d’Iméli” (L’aria grande di Emilio) è il nome che i vignolesi davano al venticello che, nelle sere d’estate, scende dalla valle del Panaro a rinfrescare l’atmosfera afosa che durante la giornata ha gravato sul paese... pardon, sulla città. La personale “ricerca del tempo perduto” di Paolo Barbieri si colloca nel tempo e nello spazio ben definiti dell’infanzia trascorsa a Vignola nella grande famiglia d’origine (comprendente nonni, genitori e cinque fratelli), ma soprattutto nella lingua in cui si sono espressi quelle relazioni e quegli affetti, assurta per lui a lingua del ricordo stesso dei luoghi e delle persone, ovvero il dialetto di Vignola-Castelvecchio. È così che, nell’arco di quattro decenni, dagli anni Settanta del Novecento a fin quasi la soglia della scomparsa, avvenuta nel 2010, Barbieri ha ripercorso, passo dopo passo, stagione dopo stagione, le epoche della vita del bambino, del ragazzo e poi dell’adolescente che fu, a specchio della vita dell’uomo che nel frattempo era diventato, in una trama di versi che sembrano sgorgare con assoluta spontaneità dalle pieghe più recondite e private dell’anima, a intessere un lungo dialogo con se stesso, prima e oltre che con gli altri membri della famiglia: dialogo che non si è mai interrotto (pur conoscendo delle pause, anche di anni, fra l’uno e l’altro momento creativo), ma che, vivente l’autore, era rimasto inedito, confinato all’ambito privatissimo della famiglia. […] È merito del fratello Francesco, Kino, avere recuperato dai figli dello scomparso il prezioso fascicolo poetico, e averne allestito la presente edizione: dobbiamo essergliene grati non solo per l’omaggio della pietas fraterna e famigliare, ma soprattutto per avere così consentito a un pubblico più vasto di leggere questo Canzoniere, che ha i numeri per toccare corde che ciascuno ritrova dentro di sé. Patrizia Paradisi