La Filosofia dell’inconscio di Eduard von Hartmann esce nel 1869, nove anni dopo la morte di Schopenhauer e ottiene subito un successo strepitoso.
In essa il giovane filosofo tenta di integrare fra loro il pensiero di Hegel e Schopenhauer, secondo una prospettiva già prefigurata dall’ultimo Schelling. Per Hartmann a fondamento della realtà e del dolore che la pervade c’è un principio irrazionale, secondo quanto insegnato da Schopenhauer, ma tale principio da solo non può bastare: c’è bisogno dell’idea di Hegel per dar ragione degli elementi razionali della realtà.
Volontà e idea sono i due elementi costitutivi del nuovo principio metafisico, denominato inconscio, che opera in tutti i fenomeni, compreso l’uomo.
La razionalità del mondo assume tuttavia una configurazione sconcertante. La felicità è l’unico fine ragionevole dell’umanità, ma essa è irraggiungibile nel presente. L’umanità si illude che lo potrà essere nel futuro con il progresso. Bisogna allora abbandonare il quietismo di Schopenhauer e impegnarsi nella realizzazione del progresso. Ma se – come Hartmann dà per certo - anche il progresso non produrrà felicità ed anzi si rivelerà come l’ultima illusione, non resterà che riconoscere come unico fine razionale la realizzazione di una condizione di non sofferenza, ovvero l’annichilimento del mondo. Il momento di questa scelta radicale è tuttavia ben lontano nel tempo; per ora è indispensabile operare per il progresso, pur nella mesta convinzione che esso non potrà mutare veramente le condizioni dell’umanità.
Di lì a poco la Germania realizzerà la sua unificazione proseguendo il cammino che doveva farne in breve una grande potenza; ma molti – pur apprezzando e ammirando questo progresso, pur contribuendo ad esso con lealtà e impegno – rimarranno intimamente insoddisfatti. Il sistema di Hartmann è forse una metafora della delusione degli anni della Gründezeit?
In essa il giovane filosofo tenta di integrare fra loro il pensiero di Hegel e Schopenhauer, secondo una prospettiva già prefigurata dall’ultimo Schelling. Per Hartmann a fondamento della realtà e del dolore che la pervade c’è un principio irrazionale, secondo quanto insegnato da Schopenhauer, ma tale principio da solo non può bastare: c’è bisogno dell’idea di Hegel per dar ragione degli elementi razionali della realtà.
Volontà e idea sono i due elementi costitutivi del nuovo principio metafisico, denominato inconscio, che opera in tutti i fenomeni, compreso l’uomo.
La razionalità del mondo assume tuttavia una configurazione sconcertante. La felicità è l’unico fine ragionevole dell’umanità, ma essa è irraggiungibile nel presente. L’umanità si illude che lo potrà essere nel futuro con il progresso. Bisogna allora abbandonare il quietismo di Schopenhauer e impegnarsi nella realizzazione del progresso. Ma se – come Hartmann dà per certo - anche il progresso non produrrà felicità ed anzi si rivelerà come l’ultima illusione, non resterà che riconoscere come unico fine razionale la realizzazione di una condizione di non sofferenza, ovvero l’annichilimento del mondo. Il momento di questa scelta radicale è tuttavia ben lontano nel tempo; per ora è indispensabile operare per il progresso, pur nella mesta convinzione che esso non potrà mutare veramente le condizioni dell’umanità.
Di lì a poco la Germania realizzerà la sua unificazione proseguendo il cammino che doveva farne in breve una grande potenza; ma molti – pur apprezzando e ammirando questo progresso, pur contribuendo ad esso con lealtà e impegno – rimarranno intimamente insoddisfatti. Il sistema di Hartmann è forse una metafora della delusione degli anni della Gründezeit?