Cominciammo con uomini che si avventuravano soli per le terre dell’Africa oscura, soli ed indifesi ma temprati al sacrificio e alla morte per condurre innanzi con la loro volontà il Destino della patria.
Morirono disperando. Non seppero e non videro forse che una generazione non lontana avrebbe raccolto i loro nomi per iscriverli nel martirologio della stirpe. Forse giacciono tuttavia lungo le piste carovaniere, pei deserti.
Pellegrino Matteucci, Antonio Cecchi, Giulietti, Bisleri, Chiarini, Bianchi, Diana, Monari: ecco i pionieri autoctoni.
La giovinezza del popolo andava innanzi a loro; la fatalità di un disegno storico li sospingeva al sacrificio. Morirono e lo squallore delle anime non seppe la bellezza e la grandezza del toro gesto. La trepidante ansia dei governanti deprecò la loro morte. Non si voleva agire. L’Italia, bollata dalla secolare servitù, impaurita dalle sue ultime disfatte sul campo di battaglia, sbigottita dal disastro di Lissa che era, nei secoli, la sua prima pagina ingloriosa sul mare, era renitente al suo Destino, si umiliava per non seguir la sua via. Non ardì quand’era tempo, non si rimosse quando altri le apriva la strada, si condusse da schiava ne’ suoi rapporti con le Nazioni, volle passar come l’ombra, essere nulla e nessuno per non trovarsi di fronte al pericolo e vi riuscì. Si salvò perchè necessaria ad un equilibrio di forze, ma l’anima sua si immiseriva sempre più. Ebbe uomini d’accatto che per la loro timidezza politica le tolsero anche l’ultima dignità. Cadde in dispregio. Le sue glorie nazionali si offuscarono. Ma il fato la premeva e dovette ubbidirgli.
Morirono disperando. Non seppero e non videro forse che una generazione non lontana avrebbe raccolto i loro nomi per iscriverli nel martirologio della stirpe. Forse giacciono tuttavia lungo le piste carovaniere, pei deserti.
Pellegrino Matteucci, Antonio Cecchi, Giulietti, Bisleri, Chiarini, Bianchi, Diana, Monari: ecco i pionieri autoctoni.
La giovinezza del popolo andava innanzi a loro; la fatalità di un disegno storico li sospingeva al sacrificio. Morirono e lo squallore delle anime non seppe la bellezza e la grandezza del toro gesto. La trepidante ansia dei governanti deprecò la loro morte. Non si voleva agire. L’Italia, bollata dalla secolare servitù, impaurita dalle sue ultime disfatte sul campo di battaglia, sbigottita dal disastro di Lissa che era, nei secoli, la sua prima pagina ingloriosa sul mare, era renitente al suo Destino, si umiliava per non seguir la sua via. Non ardì quand’era tempo, non si rimosse quando altri le apriva la strada, si condusse da schiava ne’ suoi rapporti con le Nazioni, volle passar come l’ombra, essere nulla e nessuno per non trovarsi di fronte al pericolo e vi riuscì. Si salvò perchè necessaria ad un equilibrio di forze, ma l’anima sua si immiseriva sempre più. Ebbe uomini d’accatto che per la loro timidezza politica le tolsero anche l’ultima dignità. Cadde in dispregio. Le sue glorie nazionali si offuscarono. Ma il fato la premeva e dovette ubbidirgli.