Celeste si racconta dopo ottant’anni dalla sua nascita con la chiarezza di chi ha dovuto rielaborare e razionalizzare ogni istante dell’esistenza. Il suo racconto funge da monito: da insegnamento per tutte quelle donne che, accecate dal luccichio di un amore travolgente, si costringono ad una vita di stenti e sofferenza. Celeste è una donna forte, con un istinto materno; è capace di fare da madre dapprima ai suoi fratelli e sorelle e poi alla sua prole. Celeste racconta di quando era una “donna miope” che, perciò, si è lasciata trasportare da una relazione pre-impostata con un uomo innamoratosi di lei ma di un “amore tossico” e che non potrà non marcare a fuoco ogni istante della sua vita. La storia è ambientata in quel di Novara e d’intorni. Celeste trasporta i lettori in un cammino di consapevolezza: dall’infanzia alla vecchiaia, in un susseguirsi di passi sempre più difficili ma, al contempo, lucidi, fino a voler “tirare una riga, ricominciare e non pensarci più”. Anche se – è ovvio! – “il passato resta e condiziona indelebilmente...”. Nel frattempo, Nando, l’uomo che le ha travolto l’esistenza con la sua schizofrenia, si immola per lasciarla “libera”… Di una libertà non priva di sofferenza e sacrifici ma che, alla fine, le consentirà di riprendere le redini della sua vita e così condurre le figlie verso un migliore futuro.