Un romanzo costato quindici anni di lavoro che si snoda, come un fiume in piena, intrecciando con antica maestria la vicenda generazionale di una famiglia con la storia di un paese e di un’epoca. In un’Italia del dopoguerra satura di sofferenze e di destini dispersi ma anche di rinnovate energie e di aspettative rivolte al futuro.Un’operazione narrativa, quella di Pietro Sgambati, che rinvia a precedenti illustri della letteratura italiana, con un marcato e vibrante impasto di storia e racconto, e uno snodarsi di vicende che hanno come filo conduttore un senso del destino accettato con virile rassegnazione.I pregi più significativi di quest’opera possono riassumersi nella saldezza della cornice rappresentata, nell’interesse per lo studio dei personaggi nella cui vita e nei cui gesti s’individuano sovente significati universali ed umani, nella problematica morale e nella compattezza della trama, dove ogni pagina serve a procedere in una direzione e a sviluppare un discorso. Una mobilità dei piani narrativi cui fa riscontro una scrittura densa, sovrabbondante d’informazioni, un senso della storia nutrito di pietà manzoniana, che consente un’analisi a vari strati dei caratteri e dei costumi psicologici e sociali.Se c’è un messaggio di fondo che emerge da quest’opera è l’importanza della riscoperta delle radici. In un mondo avviato verso una incontrollabile globalizzazione, funzionale agli interessi del grande capitale ma indifferente alla vita di milioni di persone, “L’Eterna Illusione” ripropone l’importanza delle tradizioni locali come indispensabile radicamento. Ripropone la necessità di valori di ancoraggio in antitesi alla vertigine del cambiamento. Se è impossibile opporsi alla inesauribile forza espansiva della vita, occorre d’altra parte tener conto che l’animo dell’uomo cerca istintivamente dei punti di riferimento: il bisogno di comunità, il bisogno di riconoscersi in alcuni principi, in alcuni valori di solidarietà e di identità collettiva... Sono queste le ragioni profonde che muovono la scrittura dell’autore. Con un inevitabile sottofondo di malinconia e di angoscia esistenziale e religiosa.