La seconda parte del trattato è di matrice più specificatamente religioso/cristiana. Si rielabora la figura del Dio ebraico della Genesi, e si rivisita il processo creativo quale strumento di estrazione del mondo dalle nebbie dell'indistinto. Dio non è un principio ideale di perfezione, bene, infallibile legislazione; esso è il demiurgo appena uscito dal nulla universale, il Pensiero primo e appena corrotto dall'imperfezione dell'increato. Ogni uomo, in quanto creatura finita e impelagata in un sistema di frammentazioni cognitive, è direttamente responsabile della morte del "suo" principio divino, e della sua occasionale, parziale resurrezione.
La terza e ultima parte si focalizza sulle prospettive future di un'umanità prevalentemente consacrata al caos e alla flagellazione psichica. Si cercano di individuare le vie d'uscita di un popolo in perenne ricerca di un senso, e si smentisce l'esistenza di un progresso storico e morale che ci avvicina a una perfezione etica soltanto immaginaria. La nascita di una Religione Universale è auspicata come controparte risolutiva dei danni delle religioni storiche; la morte è finalmente vista come "correzione" del danno esistenziale, e l'attuale preponderanza del virtuale nella quotidianità annuncia una sempre minor presa dell'elemento "concreto" nelle categorie fondanti il panorama epistemico delle future generazioni.
Si prospetta un Cristianesimo nuovo, svincolato dalle superstizioni che l'hanno finora legato alle esigenze di uno specifico popolo, di una grossolana politica, di un miscuglio di coordinate storiche e culturali già superate nel giro di qualche decennio. La nuova religione è oltre il tempo, oltre la morte, e per questo anche oltre ogni immaginabile attaccamento alla vita psichica.
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