Anna Sergi scrive questo libro partendo dalla considerazione che durante la sua infanzia, nel pieno della stagione dei sequestri di persona, la mala calabrese stava già salendo sul podio delle mafie internazionali, eppure ancora non faceva molto "rumore". Da questa premessa scaturiscono complessi interrogativi di ricerca, ai quali l'autrice fornisce risposte non scontate, che sfidano stereotipi e visioni correnti. "Ho scoperto che alcuni dei miei ricordi d'infanzia erano più che semplici ricordi. Erano testimonianze. Anzi, potevano essere testimonianze se solo fossi stata in grado di posizionarli con precisione su una linea temporale, e di contestualizzarli. Questa è dunque la spinta di questo libro. L'intenzione di mettere un po' d'ordine in un guardaroba stracolmo di ricordi di infanzia. Un po' come nel guardaroba di Narnia, sono entrata e ho iniziato a scavare la strada nel mio passato in modo da poter comprendere appieno i miei preconcetti, i miei punti di partenza e, soprattutto, le mie intuizioni - così percepite - quando si parla di Calabria e della sua mafia". Se la Calabria è l'inferno della 'ndrangheta, molti calabresi hanno imparato ad ammobiliare l'inferno, per usare una felice espressione del sociologo Alessandro Pizzorno.
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