Nel movimento socialista italiano degli anni ‘50 e ’60 Luciano della Mea (1924-2003) ha ricoperto un ruolo affatto originale, segnalandosi fra gli esponenti più attivi di quell’ambito politico-culturale che si è soliti identificare con il termine “socialismo di sinistra”. Una categoria, quest’ultima, che non si estrinseca unicamente entro i confini dell’esperienza del socialismo partitico dei primi decenni del dopoguerra, come ben dimostra l’esperienza di Della Mea. Giornalista, organizzatore e ispiratore di riviste, scrittore e saggista, autore di inchieste, costruttore di reti sociali e politiche – ma anche volontario ed attivista dentro le esperienze di frontiera della politica, quelle del disagio mentale e della tossicodipendenza – Della Mea è stato protagonista in stagioni politiche tra loro assai diverse, varcando il confine tra gli anni ’50-‘60 e gli anni ’70, tra la sinistra tradizionale e la “nuova sinistra”. Tale percorso gli ha consentito di costruire una “narrazione” in grado di rendere esplicito il legame tra quei socialisti che, negli anni ‘50, hanno tentato di elaborare una “terza via” tra stalinismo e riformismo e le nuove generazioni che si stavano facendo strada tra movimento
studentesco e lotte operaie. Da qui la funzione di “mediatore” ricoperta da Della Mea nel corso dei decenni e per diverse generazioni, ma anche la ragione dell’influenza che i suoi scritti hanno esercitato, e continuano a esercitare, sugli studi dedicati alle culture politiche italiane del secondo Novecento.
studentesco e lotte operaie. Da qui la funzione di “mediatore” ricoperta da Della Mea nel corso dei decenni e per diverse generazioni, ma anche la ragione dell’influenza che i suoi scritti hanno esercitato, e continuano a esercitare, sugli studi dedicati alle culture politiche italiane del secondo Novecento.